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Bergamo in Comune | Maggio 2, 2024

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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA, UCRAINA E PALESTINA

DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA, UCRAINA E PALESTINA

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Trentatreesima parte – La Russia sta vincendo (ma non si deve dire…)

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Mentre per la prima volta in sei mesi Gaza non è stata bombardata; mentre, in compenso, è stata bombardata con successo dagli Iraniani la base aerea israeliana di Navatim ad una quindicina di kilometri dal reattore nucleare di Dimona (chi ha orecchie per intendere, intenda…) e mentre una nota enciclopedia “on line” prima pubblica che a Khan Yunis ha vinto la Resistenza palestinese e poi si corregge…; pubblichiamo la sintesi di due articoli pubblicati su Asia Times e su The National Interest relativi alla guerra in Ucraina, entrambi non molto favorevoli alle strategie NATO.

Su Asia Times di Hong Kong abbiamo già scritto e non ci dilunghiamo ulteriormente.

The National Interest è la rivista “NeoCon” USA dove Francis Fukuyama aveva pubblicato le sue ridicole teorie circa “la fine della storia” dopo l’avvento del neo-liberismo, attualmente è – come minimo – filo-Trump ed è stata pure accusata di essere la portavoce del KGB (o come si chiama ora) negli USA.

Una rivista interessante, quindi.

Ma lasciamo loro la parola.

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https://asiatimes.com/2024/04/transatlantic-alliance-rifts-tearing-into-the-open/

LE FRATTURE DELL’ALLEANZA ATLANTICA SI APRONO

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Mentre l’Ucraina vacilla e la Russia guadagna terreno, le crepe nelle relazioni USA-UE minacciano di trasformarsi in un vero e proprio scisma.

La capacità di Kiev di resistere sull’attuale linea del fronte appare ogni giorno più fragile, le linee di frattura nascoste nell’attuale architettura della sicurezza occidentale potrebbero benissimo portare a una serie di fratture fino ad ora passate inosservate.

La prima grande possibile frattura si trova nel rapporto tra gli USA e la UE dal momento che è ora cinicamente evidente come il costringere l’Ucraina a continuare a combattere invece di accettare una resa con concessioni limitate all’inizio della guerra sia servito solo ad ottenere vantaggi per Washington.

L’interruzione delle forniture di petrolio e gas russi all’Europa ha avvantaggiato direttamente l’industria energetica statunitense attraverso la successiva domanda di GNL statunitense, aiutandola a diventare il più grande esportatore di GNL al mondo nel 2023, con l’Europa come destinazione principale.

L’anno scorso è stato anche stabilito un nuovo record per le esportazioni di greggio degli Stati Uniti; L’Europa si è confermata ancora una volta la prima destinazione delle esportazioni.

Tutto questo è stato sostenuto da uno dei più importanti eventi interni all’alleanza nel periodo successivo alla Guerra Fredda: il sabotaggio e la distruzione di entrambi i gasdotti Nord Stream.

L’aumento del prezzo dell’energia e la crisi delle linee di approvvigionamento in Europa hanno aumentato la competitività relativa dell’economia statunitense, con una notevole impennata dei costi di produzione nel continente.

La Germania, prima potenza industriale d’Europa con un’economia fortemente dipendente dall’esportazione di prodotti manifatturieri, è precipitata fino a diventare la principale economia sviluppata con le peggiori prestazioni al mondo.

Non sorprende che la popolazione tedesca abbia successivamente sofferto per il crollo del tenore di vita sin dall’inizio della guerra.

Il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita economica nell’Eurozona di solo lo 0,9% nel 2024, particolarmente misera se confrontata con il 2,6% previsto in Russia.

Nel frattempo, le proteste degli agricoltori continuano a imperversare in gran parte dell’Europa, non solo a causa delle normative sempre più severe emanate sotto l’egida di (più o meno ridicole, più o meno tiranniche – NdR) “misure ambientali”, ma anche a causa dell’ondata di importazioni agricole a basso costo dall’Ucraina.

Le popolazioni europee hanno improvvisamente visto la loro quota di mercato dei prodotti agricoli minata dalle alternative ucraine a basso costo quando l’UE ha stabilito che il libero scambio sarebbe stato consentito con Kiev all’inizio della guerra.

In particolare, i trattori polacchi continuano a tentare di bloccare il confine con il loro vicino devastato dalla guerra, mentre più a ovest, a Bruxelles, gli agricoltori innaffiano i bastioni della burocrazia dell’UE con letame fresco.

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Nonostante rappresenti circa un terzo di tutte le spese militari nel mondo, l’attuale guerra in Ucraina ha anche mostrato tutte le debolezze della difesa americana, in particolare per quanto riguarda la sua capacità di produzione industriale.

Non solo gli Stati Uniti hanno bisogno di concentrare meglio le loro limitate risorse all’estero, ma la rilocalizzazione dovrebbe essere orientata anche ad affrontare il deterioramento della situazione interna.

La faccenda più importante, tuttavia, è che la guerra ha messo in luce una serie di divergenze negli interessi di sicurezza nazionale tra i vari partner atlantici.

La questione della sicurezza è generalmente accettata come un superamento di qualsiasi considerazione politica ed economica e, anche se questo può essere vero, dovrebbe anche essere chiaro che l’appartenenza condivisa alla NATO non dovrebbe equivalere in alcun modo ad un appiattimento su interessi strategici condivisi, valutazioni delle minacce o approcci alle relazioni internazionali in generale.

Questo è intuitivo, poiché le circostanze variabili della geografia, delle dimensioni, della popolazione e della cultura portano (o dovrebbero portare – NdR) a considerazioni uniche di interesse nazionale.

La possibilità di dissenso sorge (o dovrebbe sorgere – NdR) quando l’interesse nazionale è in conflitto con quelli degli altri membri della coalizione.

Il miglior esempio di questo sono i paesi baltici, che vedono la Russia come una grave minaccia e quindi sostengono le misure più estreme nell’affrontare Mosca.

Tuttavia, la bellicosità di una nazione come l’Estonia o la Lettonia (i cui governanti sono arrivati a sostenere la necessità di distruggere completamente la Russia) solleva seri interrogativi sul fatto che gli Stati Uniti (o qualsiasi altro paese della UE) saranno mai in grado di raccogliere il sostegno pubblico necessario per mandare i propri cittadini a combattere e morire per questi confini stranieri.

Sempre meno persone sembrano disposte a fare esattamente questo, soprattutto negli Stati Uniti.

Nonostante i proclami ufficiali in senso contrario, i governanti occidentali sono senza dubbio consapevoli che la possibilità di alterare seriamente l’esito del conflitto a favore dell’Ucraina è, a questo punto, essenzialmente nulla.

Ha quindi senso che gli Stati Uniti inizino specificamente a cercare la pace in Ucraina.

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Ancora una volta, nel senso più cinico del termine, la guerra ha raggiunto un punto di rendimenti decrescenti con il rischio di un’escalation che attualmente supera qualsiasi potenziale beneficio: più a lungo va avanti lo spargimento di sangue, peggiore sarà il risultato per Kiev.

Per non parlare dell’esposizione delle vulnerabilità nei sistemi d’arma occidentali che possono minare l’efficacia della forza in qualsiasi potenziale conflitto futuro.

I carri armati M1 Abrams e i sistemi missilistici Patriot distrutti non proiettano potenza all’estero né infondono fiducia in Patria.

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Il fatto che Washington cominci o meno a spingere per una soluzione negoziata è, sfortunatamente, ancora piuttosto subordinato alle inclinazioni ideologiche dell’establishment della politica estera degli Stati Uniti che sono le stesse delle controparti europee.

I leader politici hanno fatto molto affidamento sulla quiescenza e sull’accondiscendenza delle loro popolazioni nazionali per perseguire i loro programmi che non hanno nulla a che fare con queste.

Non si può più contare su questa quiescenza mentre i cittadini degli Stati Uniti e dei singoli paesi europei cominciano a respingere le posizioni politiche sempre più cervellotiche dei rispettivi governi.

La frattura che probabilmente continuerà ad aprirsi nell’ordine atlantico dopo l’eventuale conclusione della guerra in Ucraina è quella che attualmente separa i suoi due gruppi politici fondamentali: quelli che governano e quelli che sono governati (sic).

Un’architettura di sicurezza ristrutturata in Europa che consenta una maggiore leadership regionale da parte di paesi come la Francia e la Germania, con il potenziale per sotto-coalizioni ancora più piccole, consentirebbe una maggiore unità di interessi, e quindi di efficacia.

Questo porterebbe portare ad una maggiore stabilità sia in Europa che nel mondo.

Tuttavia, un tale stato di cose sarebbe anche intrinsecamente visto come una minaccia ai primi principi della politica internazionale su cui è stato eretto l’ordine attuale e le prove di una crescente opposizione a questo ordine sono state mostrate sia negli Stati Uniti che in Europa.

La guerra in Ucraina è stata per molti versi un punto critico per quell’opposizione.

Mentre il fumo si dirada, un periodo di rinascita nazionalista – o di regressione nazionalista – potrebbe essere in attesa sulla breccia su entrambe le sponde dell’Atlantico.

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Dominick Sansone

AsiaTimes, 5 aprile 2024

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Dominick Sansone è un dottorato in filosofia politica presso l’Hillsdale College.

In precedenza ha frequentato la Johns Hopkins University School of Advanced International Studies (SAIS) e ha completato una borsa di studio Fulbright in Bulgaria.

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https://nationalinterest.org/feature/looming-ukraine-debacle-210160

LA DISFATTA INCOMBENTE IN UCRAINA

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Con il deterioramento della situazione militare dell’Ucraina, i ministri degli Esteri della NATO si sono riuniti a Bruxelles per sviluppare un piano a lungo termine per consegnare i rifornimenti necessari a Kiev.

Come ha detto il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, “gli Ucraini non stanno esaurendo il coraggio, stanno finendo le munizioni”.

Distratta da altre questioni, l’America guarda sempre più all’Europa per coordinare la difesa dell’Ucraina.

Ma, a parte le dichiarazioni circa proiettili e denaro o la presentazione di una modesta strategia dell’industria della difesa UE, i leader europei non sembrano avere le idee o i mezzi per intervenire in modo deciso o tempestivo.

Il suggerimento del presidente francese Emmanuel Macron che le truppe NATO possano entrare in Ucraina è stato sostenuto da Polonia e Repubblica Ceca, ma ha causato costernazione nella stessa Francia.

Ancora più importante, la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti escludono ancora l’invio di stivali sul terreno.

Invece di un nuovo approccio, continua il vecchio schema: la NATO rimugina su come aiutare l’Ucraina senza provocare una guerra aperta con la Russia e non riesce, alla fine, a fornire il tipo di assistenza decisiva necessaria per cambiare il corso della guerra.

Un altro modello consolidato è la ripetizione del linguaggio moralistico: l’Occidente “non può lasciare che la Russia vinca” e l'”ordine basato sulle regole” potrebbe sgretolarsi.

Poi c’è la nuova teoria del domino: se l’Ucraina cade, le orde russe si riverseranno più a ovest.

La personalizzazione del conflitto su un uomo malvagio, Vladimir Putin, continua con la morte di Alexei Navalny.

È una lotta manichea tra il bene e il male, la democrazia e l’autoritarismo, la civiltà e le tenebre.

Non ci può essere “pace finché non cade il tiranno” e l’alleanza occidentale non deve vacillare nel suo impegno nei confronti dell’Ucraina.

Quanto manca in tutti questi discorsi è il realismo.

Quale è il reale equilibrio di potere tra le nazioni in guerra, e cosa si può concludere dopo due anni di competizione “dura” tra Russia e NATO?

Non sorprende che i leader occidentali siano riluttanti ad ammettere che la terribile situazione in cui versa l’Ucraina è legata ai loro fondamentali errori di calcolo sulla Russia.

I molteplici errori della Russia in questa guerra sono ben noti, ma che dire di quelli commessi dall’alleanza occidentale?

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Circa due anni fa, è diventato chiaro che il piano A della Russia in Ucraina era fallito.

L’approccio iniziale di Putin era stato un improvviso attacco in Ucraina che, nel migliore dei casi, avrebbe potuto rovesciare il governo ucraino o almeno costringere Kiev a firmare una nuova e meno favorevole versione dell’accordo di Minsk II.

Il piano A della Russia è stato contrastato dal governo Zelenskyy, le cui forze militari hanno tenuto duro alla periferia di Kiev nel marzo 2022.

Dopo il fallimento dei negoziati di pace di Istanbul tra Kiev e Mosca ad aprile, la Russia è passata al piano B: condurre una guerra di logoramento per esaurire la volontà e la capacità di resistenza di Kiev, mettendo al contempo alla prova la capacità collettiva dell’alleanza occidentale di sostenere l’Ucraina.

Il Piano B della Russia ha avuto risultati contrastanti nel 2022.

Mentre la Russia ha ottenuto vittorie importanti, anche se costose, a Mariupol e Severodonetsk, l’Ucraina ha sfruttato la mancanza di truppe della Russia per riconquistare territori nelle regioni di Kharkiv e Kherson.

Tuttavia, a seguito di una parziale mobilitazione militare ed economica, la Russia ha svoltato l’angolo, sconfiggendo l’offensiva ucraina nel 2023 e prendendo il sopravvento nel 2024.

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Mentre il lento successo del Piano B della Russia diventa più evidente, il fallimento del Piano A dell’Occidente per trattare con la Russia è ora chiaro.

Questo piano consisteva in sanzioni per far deragliare l’economia russa, diplomazia per isolare il regime di Putin e l’uso di armi e know-how della NATO per infliggere gravi danni alla Russia sul campo di battaglia.

Il risultato ottimale sarebbe stata l’umiliazione e il ritiro della Russia dall’Ucraina e gli “esperti” hanno assicurato che la Russia sarebbe stata seriamente indebolita e obbligata a trattare.

Questo, tuttavia, non è per nulla quanto si è concretizzato.

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Presupposti errati:

L’economia russa era stata valutata come debole e vulnerabile alle sanzioni, data la sua dipendenza energetica e il punteggio relativamente basso del PIL, che viene calcolato convertendo il valore della sua economia in dollari statunitensi.

Questa misura non ha tenuto conto delle industrie strategiche della Russia, dell’autosufficienza delle risorse e dell’accesso a partner commerciali alternativi.

Le sanzioni occidentali sulle esportazioni energetiche della Russia si sono ritorte contro, danneggiando alcune economie europee più della Russia.

Hanno anche causato un’impennata dei prezzi dell’energia, assicurando che la Russia ricevesse entrate più che sufficienti per finanziare il suo sforzo bellico.

Anche la speranza che la maggior parte degli Stati non occidentali smettesse di commerciare con la Russia si è rivelata infondata: la Russia ha aumentato i suoi flussi commerciali con l’India, la Turchia e la Cina, mentre molti dei vicini della Russia traggono profitto dalla rivendita di beni sanzionati a Mosca.

L’assunto che la Russia sia una cleptocrazia ha portato a sanzioni personali sui ricchi russi che ci si aspettava avessero effetti collaterali politici: perdendo l’accesso ai loro beni e lussi in Occidente, i cleptocrati si sarebbero sicuramente rivoltati contro Putin.

Invece, le sanzioni li hanno in gran parte incentivati a investire denaro nel proprio paese e a dare la loro lealtà al regime.

Le sanzioni occidentali sono state quindi un doppio fallimento: non hanno distrutto l’economia russa o destabilizzato la coalizione d’élite intorno al regime.

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Il mancato uso degli armamenti più moderni da parte della Russia nei primi due mesi della sua “Operazione Militare Speciale” è stato preso come un indicatore di grave incompetenza militare, ma questo presupposto si è dimostrato errato.

La fornitura di armi avanzate non ha permesso agli ucraini di ottenere un successo decisivo nel 2023.

Sebbene l’accesso ai sistemi di intelligence, sorveglianza e ricognizione della NATO abbia dato all’Ucraina un vantaggio cruciale sul campo di battaglia; l’addestramento, l’equipaggiamento e la pianificazione della NATO si sono rivelati inadatti per l’offensiva ucraina del 2023.

Nel complesso, la NATO non era ben preparata per la guerra in Ucraina: le sue dottrine militari prevedevano interventi in guerre civili o conflitti con avversari più deboli, non una guerra di logoramento con un avversario alla pari.

Al contrario, la Russia si è dimostrata meglio preparata nel lungo periodo per la produzione militare e ha anche innovato gli armamenti con successo.

L’esercito russo si è adattato a condizioni di visibilità quasi totale sul campo di battaglia, all’uso massiccio di droni e alla potenza notevolmente ridotta di carri armati e aerei.

Sul piano tattico e operativo, la Russia sta impegnando contemporaneamente molte parti del fronte, costringendo l’Ucraina a un estenuante e costante rischieramento di truppe.

Presentare i successi militari russi come “ondate umane” o “assalti di carne da cannone” è chiaramente fasullo: l’approccio della Russia è graduale, logorante e tutt’altro che insensato.

Dati questi eventi, i discorsi propagandistici circa una vittoria ucraina sono stati sostituiti dallo spettro della sconfitta se l’Occidente non dovesse essere in grado di fornire le armi e i rifornimenti necessari.

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Nonostante tutti le considerazioni ora citate, molti in Occidente vogliono continuare il piano A: più sanzioni alla Russia, nuove armi e più addestramento per l’Ucraina, il tutto per preparare in qualche modo l’Ucraina a lanciare un’altra offensiva nel 2025.

Tuttavia, non è chiaro come l’Ucraina possa sopravvivere al 2024 se la Russia sta superando l’Occidente di oltre tre a uno in termini di proiettili e ha più truppe a sua disposizione.

Qualcosa deve essere ceduto nella prossima fase della guerra.

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E poi?

L’attuale sforzo piuttosto disperato di racimolare munizioni per garantire la sopravvivenza immediata dell’Ucraina non costituisce un piano B per l’Occidente.

Manca ancora una definizione di “vittoria” e non è chiaro quali presupposti debbano essere raggiunti per negoziati “onorevoli” con la Russia.

Il piano B dell’alleanza occidentale deve essere una scelta tra sviluppare rapidamente un mezzo efficace per raddoppiare il suo sostegno all’Ucraina o iniziare a parlare di un compromesso con la Russia.

La variante di Macron di un dispiegamento di truppe della NATO non è una seria minaccia al dominio militare della Russia.

Più probabilmente, rappresenta un segnale dell’impegno occidentale volto a sostenere il morale ucraino in un momento cruciale, oltre a garantire che, in caso di disfatta, lo stesso Macron non possa essere accusato di essere rimasto in silenzio.

Ma in termini reali, cosa potrebbero fare duemila soldati francesi in Ucraina per cambiare l’equilibrio militare?

Sicuramente, non sarebbero altro che un tappabuchi, ma con rischi di ulteriore “debacle”, dato che un contingente NATO in Ucraina non sarebbe protetto dall’articolo 5 e molto probabilmente sarebbe “bersaglio facile” per missili e droni russi.

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L’alleanza occidentale non ha la volontà o i mezzi per prendere l’iniziativa in Ucraina.

Nonostante tutte le spacconate su come l’Occidente non debba cedere e debba invece attraversare le linee rosse della Russia senza paura, non c’è una vera intenzione di impegnarsi in una guerra Russia-NATO.

La mancanza di realismo nella strategia occidentale è evidente.

Esiste infatti il serio rischio che, invece di dare una lezione alla Russia e mettere Putin al suo posto, si verifichi il contrario.

La Russia, infatti, sta dando lezioni all’Occidente su cosa significa usare la potenza e condurre una guerra: uno stato unito, resiliente e incrollabile può sconfiggere la sovranità comune dell’UE e della NATO.

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Abbiamo tutti sentito l’obiezione che non ci si può fidare di Putin e che non vuole niente di meno che la completa eliminazione dell’Ucraina come Stato indipendente.

Tuttavia, la cieca continuazione del disfunzionale Piano A dell’Occidente non minaccia anche la totale distruzione fisica dell’Ucraina?

È per questo motivo che Papa Francesco ha invitato i leader occidentali a non “vergognarsi di negoziare prima che le cose peggiorino”.

Un nuovo approccio alla guerra in Ucraina non emergerà da proclami retorici e le parole da sole non impediranno una vittoria russa.

Quanto è ora necessario è una chiara contabilità di quanto può essere realisticamente realizzato con i mezzi disponibili, nonché dei costi, dei rischi e dei benefici dei diversi scenari.

Insistere a riprovare quanto ha già fallito prima e aspettarsi nuovi risultati non è, dopo tutto, una ricetta valida.

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Matthew Blackburn

The National Interest, 4 aprile 2024

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Matthew Blackburn è senior del gruppo di ricerca sulla Russia, l’Asia e il commercio internazionale del Norwegian Institute of International Affairs. La sua ricerca affronta la politica della Russia contemporanea e dell’Eurasia, includendo sia la politica interna che le relazioni interstatali. Ha anche pubblicato analisi accademiche e mediatiche sulla guerra russo-ucraina in corso.

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