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Bergamo in Comune | Novembre 6, 2024

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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA ED UCRAINA

DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA ED UCRAINA

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Trentesima parte – Esiti del vertice dei BRICS in SudAfrica

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Il disastro aereo nel cielo di Mosca di un vecchio aeroplano “made in Brazil” dalla storia pregressa estremamente interessante [immatricolato prima presso l’isola di Man -feudo personale e paradiso fiscale di re Carlo III-, poi in Turchia, in Austria, in Slovenia, di nuovo in Brasile ed infine in Russia (meglio di un romanzo di spionaggio di John le Carré…)] ha distratto tutti dal seguire con razionalità le conclusioni del vertice dei BRICS in SudAfrica.

È ovvio: le notizie di cronaca quando sono permeate di un alone di mistero vengono morbosamente seguite dal sistema mediatico ed il risultato è un fotoromanzo infinitamente più succulento delle telenovele propinate alle varie persone eterodirette dal cervello ormai in pappa.

Solo i morti sono veri.

Ma è morto? Non è morto?

Chi è stato?

È stato Vladimiro!

No! Sono stati i militari russi che non gli hanno perdonato il tentativo di colpo di stato e gli undici aviatori ammazzati durante questo, tra cui l’addestratissimo e non facilmente sostituibile equipaggio di un aereo radar [non dimentichiamo che con l’apparato militare il buon Vladimiro ha lo stesso rapporto che Stalin aveva con il maresciallo Zhukov: si lasciavano in pace vicendevolmente ed il primo “appoggiava” sempre il secondo (Zhukov non era mica un ingenuo bolscevico come Tukacevsky che si poteva tranquillamente abbandonare durante la battaglia della Vistola -e ad un conseguente pessimo destino Rosa Luxemburg e le repubbliche sovietiche della Mittel Europa- per poi “purgarlo” quasi venti anni dopo: Zhukov controllava l’Armata Rossa, quella con l’atomica, non quella eroica dei “proletari a cavallo” e di Trotzky)] per cui ricordiamoci che non è molto igienico fare incavolare un Russo, figuriamoci se è pure un militare addestrato ad ogni arma e ad ogni colpo…

Sono stati gli Ucraini!

La NATO!

Vlad l’impalatore!

I Marziani!

Boh!

In ultima analisi non è che ce ne importi molto.

Ci interesserebbe molto di più sapere la vera storia della “Strategia della Tensione”, della bomba di Bologna, dell’assassinio di Aldo Moro, della liquidazione di Bettino Craxi, etc.

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Torniamo a parlare dei BRICS, che sono molto più importanti e vediamo di evitare una visione un po’ troppo “idealistica” anche se, purtroppo, negli ultimi tempi ne sono circolate tante.

Non dimentichiamoci che, comunque, si tratta di un gruppo capitalistico, rivale a G7/FMI/BCE/NATO/etc. fin che si vuole, ma pur sempre gruppo capitalistico e non movimento di liberazione.

Ovviamente stanno comparendo un po’ dappertutto “autorevoli informazioni” circa l’efficacia delle azioni di questo vertice “assai più limitata rispetto a quella del G7”, che è “difficile che si tratti di un gruppo coeso e allineato”, che il “dollaro non corre rischi come valuta dominante”, etc.

Gli esiti del vertice di Johannesburg per il momento possono essere sintetizzati in solo due punti, anche se la situazione è tutta in divenire e ne sentiremo parecchie di nuove.

La prima notizia è che sei Paesi entrano a pieno titolo: Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Argentina per cui ora si deve parlare di BRICS+6.

La seconda notizia è che, per ora, non si farà nessuna moneta comune (e nessuna maledizione come una Banca Centrale che poi da “strumento” diventa “padrona”), ma si favorirà al massimo l’uso delle monete nazionali negli scambi commerciali in luogo di US Dollar.

Quest’ultimo rimane come valuta principale del commercio globale, ma da una posizione di quasi-monopolio è ormai passato ad una posizione solo maggioritaria.

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https://www.lastampa.it/esteri/2023/08/23/news/brics_ian_bremmer_paesi_troppo_diversi_fra_loro_non_possono_competere_con_il_g7-13007480/

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L’ingresso di Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Argentina non rappresenta solo un allargamento nominale dei BRICS, ma un evento che avrà serie ripercussioni su US Dollar, sui cosiddetti “petrodollari” in particolare.

Ma andiamo con ordine e cominciamo con una piccola premessa che riguarda la nostra Italietta dominata dai Fratelli di Italiota e dal cosiddetto “centrosinistra a guida BCE”.

L’Etiopia è il paese africano che era (o forse è meglio dire fu) il più disponibile nei confronti di una apertura paritaria verso l’Occidente che passasse attraverso l’Italia; però i nostri governi, soprattutto dopo la liquidazione di Moro e di Craxi, hanno perso ogni capacità di avere una politica estera autonoma e di saper favorire il lavoro italiano nel mondo (vedremo come andrà a finire con il logico e razionale colpo d’orgoglio dell’adesione alla Nuova Via della Seta…).

Per cui i bravi Etiopi si sono rivolti altrove e hanno trovato la massima disponibilità della Cina, al punto che ora all’aeroporto di Addis Abeba le scritte sono trilingui: amarico, inglese e cinese.

Ovviamente la faccenda non si è limitata ad un interscambio indolore e nella regione del Tigrè è iniziata una guerra aperta tuttora in corso, con centinaia di migliaia di morti e di profughi, tra un equipaggiatissimo, anche con armi pesanti, Fronte Popolare e l’esercito etiope. Chissà come mai?

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L’Argentina dovrebbe essere una specie di cortile di casa per l’Italia ma, ora che ha formalmente aderito ai BRICS, si può dire che sia persa, visto che i Paesi occidentali non sono i benvenuti.

Risulta chiaro come la sua adesione ai BRICS è stata un risultato della politica del Presidente del Brasile, Lula da Silva.

Però l’Argentina non ha inviato una propria delegazione in Sud Africa mentre il suo ministro dell’economia e candidato alla presidenza per il centrosinistra, Sergio Massa (più Italo-Argentino di così c’è solo il Papa…), si è invece recato negli USA per incontrare i funzionari del Fondo Monetario Internazionale sul debito del paese.

Va anche detto che l’Argentina dovrà affrontare difficili elezioni presidenziali nell’ottobre di quest’anno dove viene dato per favorito l’’economista di estrema destra Javier Milei che ha promesso di tagliare le relazioni commerciali con la Cina e di riorientare l’Argentina verso il “mondo civilizzato”, o cosiddetto “Occidente”, e di attuare una politica economica guidata dal mercato simile a quella dell’ex dittatore cileno, Augusto Pinochet.

Se Milei dovesse vincere le elezioni presidenziali è certo che il suo paese sarà improvvisamente ritirato dal blocco e questo danneggerebbe seriamente la credibilità dei BRICS.

Per il centrosinistra (quello vero, non quello italico organizzato dalle finanziarie atlantiche e a guida BCE) in Argentina, l’allinearsi con l’Occidente è una situazione a dir poco indesiderabile: si tratterebbe di una mossa suicida perché i crediti rivendicati da Washington e dal FMI sono tanti e sono il risultato della precedente amministrazione dell’ex presidente “yes-man”, Mauricio Macri, che ha fatto una marea di nuovi debiti dopo che il suo predecessore, Néstor Kirchner, era riuscito ad azzerarli.

Non ci vuole molto a capire che l’adesione dell’Argentina ai BRICS è stata massicciamente sponsorizzata dal Presidente brasiliano che, avendo visto che una nuova valuta internazionale è prematura, ha voluto l’ingresso dell’Argentina come premio di consolazione con un occhio attento all’influenza che questo potrà avere sul risultato delle prossime elezioni.

Interessante che Cuba e Venezuela, pur partecipando a dire poco entusiasticamente al vertice, non abbiano presentato domanda di adesione.

Probabilmente nel caso di Cuba questo è conseguenza della ormai ultra-sessantennale esperienza di politica estera sul filo del rasoio: se siamo decisi ora, lo saremo anche tra qualche anno; aspettiamo di vedere bene come butta.

Stesso discorso per il Venezuela che, essendo pure un produttore di petrolio, è evidente come non abbia pure molta voglia di legarsi troppo a paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran o gli Emirati.

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Josè Inacio Lula da Silva è davvero quello che si suole chiamare una “vecchia volpe”; a volte riesce a farsi considerare un partner democratico dell’Occidente e, altre volte, la voce di un Sud globale indipendente: deve bilanciare questi comportamenti tra loro conflittuali e non vuole rovesciare completamente l’ordine esistente delle relazioni internazionali, ma vuole anche vederne cambiamenti in linea con gli interessi del Brasile.

Questo anche perché l’imprevedibilità, e la conseguente fragilità, di alcuni governi del Sud del mondo è, e sarà, un persistente tallone d’Achille dei BRICS; debolezza su cui “chi di dovere” agirà decisamente e continuativamente.

Come forma di difesa è stato stabilito che solo le nazioni che non applicano sanzioni contro i membri del gruppo possono essere ammesse.

In una conferenza stampa dopo il vertice BRICS il viceministro degli esteri russo, Sergei Ryabkov, ha comunicato che una delle condizioni chiave per l’ammissione al gruppo è “la non applicazione di sanzioni illegali contro nessuno dei membri dell’associazione”.

Non è stata richiesta la non partecipazione ad eventi bellici e, infatti, a parte Egitto ed Argentina, tutti gli altri quattro stanno attivamente partecipando ad almeno una guerra in Medio Oriente.

Tuttavia, il buon Sergei ha pure detto che “se un Paese che ha partecipato al regime di sanzioni dovesse rompere i ranghi nonostante la dura disciplina all’interno del campo occidentale e abbandonare questa politica”, la sua domanda di adesione potrebbe essere esaminata.

Volendo, la Repubblica Italiana ha ancora la possibilità di giocare un ruolo di mediazione, come ai tempi delle Repubbliche Marinare, prima dell’arrivo di Franza e Spagna; quei levantini della Grecia sembra proprio che, sotto sotto, lo stiano già facendo…

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https://www.rt.com/news/581775-argentina-presidential-election-brics/

https://www.rt.com/russia/581826-west-not-welcome-brics/

https://mronline.org/2023/08/21/the-brics-have-changed-the-balance-of-forces-but-they-will-not-by-themselves-change-the-world/

https://www.rt.com/news/581556-brics-face-historic-decision/

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Veniamo a quello che è il risultato principale del vertice di Johannesburg: l’ingresso di Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Con rispetto parlando, sembrerebbe proprio che l’ingresso dell’Egitto sia dovuto più al bisogno di grano russo da parte di questo Paese, magnanimamente concesso dal buon Vladimiro nella semi-indifferenza degli altri membri; tranne che dalle parti di Tel Aviv, ma Israele non fa parte dei BRICS (anche se da parte loro si ha l’impressione che ne vedremo presto delle belle, o delle brutte).

I “Grifoni” iraniani era ovvio che sarebbero entrati dal momento che sono da tempo i principali fornitori di prodotti petroliferi ai “Panda” cinesi, pagati tra l’altro in Yuan o in Riyal, e sono amiconi con gli “Orsi” russi che riforniscono regolarmente di droni (e soprattutto dei loro progetti e di terre rare per fabbricare microprocessori).

La sorpresa è l’ingresso, a pieno titolo, dei principali produttori di petrolio arabi.

A Doha, in Qatar, è possibile che stiano schiattando peggio degli Israeliani per l’ingresso dell’Iran: così imparano ad essere più allineati con gli USA dei Sauditi e delle altre monarchie arabe…

È evidente che questo ingresso è stato voluto dalla Cina con l’appoggio della Russia, il mugugno dell’India e il sostanziale attendismo del Brasile e del SudAfrica.

Questo dovrebbe eliminare ogni ingenuo trionfalismo da parte di coloro che sono entusiasti dei BRICS, manco fossero l’Esercito di Liberazione del Vietnam o i “Barbudos” di Cuba (che abbiamo visto essere estremamente prudente).

Qualcuno è in grado di spiegare come si può considerare un “evento di liberazione” una struttura di cui fanno parte i “migliori” integralisti tirannici del globo (forse solo coloro che stanno a nord di Seul possono sperare di batterli)?

La faccenda è molto diversa.

Con l’ingresso di questi ultimi Paesi i BRICS ora detengono il 55% della produzione di petrolio mondiale e questa percentuale sale al 65÷70% se consideriamo anche gli altri Paesi a loro amici quali Venezuela, Algeria e Indonesia.

I Cinesi non sono scemi e hanno capito benissimo che una nuova valuta internazionale non è detto che riesca a scalfire l’egemonia di US Dollar: potrebbe finire in una serie di diatribe e di ripicche tra gli Stati membri o, peggio, comportarsi come sta facendo l’Euro: diventare uno strumento non di prosperità, ma di stagnazione economica e diventare il cavallo di Troia (tramite la BCE) del più forte US Dollar.

Per cui, dove si può attaccare la superiorità di US Dollar?

Ma è logico!

Lì dove è più debole, nei cosiddetti “petrodollari”.

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https://mronline.org/2023/08/14/u-s-pressures-saudi-arabia-to-sell-oil-in-dollars-not-chinese-yuan-amid-israel-negotiations/

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Il sistema del petrodollaro permette di mantenere l’egemonia di US Dollar di cui è il pilastro principale.

Tutti i Paesi che importano petrolio (Italia inclusa) hanno bisogno di US Dollars per pagarlo e questo garantisce una domanda costante per la valuta di Washington in tutto il mondo.

Questa domanda stabilizza US Dollar, contribuendo a finanziare il massiccio deficit che gli USA hanno creato da cinquanta anni, da quando Nixon ha eliminato la convertibilità di US Dollar in oro.

Gli USA sono stati fino ad ora in grado di mantenere un gigantesco deficit commerciale con il resto del mondo perché il bisogno di idrocarburi garantisce una altrettanto grande domanda per la loro valuta (tra molti altri fattori, come la schiacciante potenza militare degli USA, l’impressione che US Dollar sia una riserva stabile, etc.).

Fino ad ora, quando l’Arabia Saudita aveva un eccesso di dollari, li ha sempre depositati nel sistema bancario statunitense che a sua volta utilizza la valuta in eccesso per finanziare più prestiti.

Inoltre la banca centrale dell’Arabia Saudita investe gli US Dollars che riceve dalle vendite di greggio nell’acquisto di titoli del Tesoro USA, finanziando efficacemente la spesa del governo degli Stati Uniti

La Cina è ora diventata il più grande partner commerciale dell’Arabia Saudita e le due nazioni discutono la potenziale vendita del petrolio in Yuan.

Questo marzo, la Cina ha contribuito a mediare un riavvicinamento storico tra Arabia Saudita e Iran. Washington era furiosa per la svolta di pace e sta facendo di tutto per spingere Riyadh a rientrare nella sua aggressiva strategia di contenimento contro Teheran.

Durante la sua visita nel dicembre 2022 il Presidente cinese, Xi Jinping, ha firmato vari accordi, dalle conseguenze pratiche immediate, con il Consiglio di Cooperazione del Golfo e con la Lega araba (e i Fratelli d’Italiota, insieme al centrosinistra a guida BCE, si stanno tirando le menate per non confermare un semplice memorandum contenente solo generiche affermazioni di principio…).

Il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita ha confermato per la prima volta in pubblico questo gennaio che Riyadh sta effettivamente considerando di vendere petrolio in altre valute.

Tuttavia, sebbene ci siano state molte speculazioni su questo nella stampa finanziaria, il governo saudita non ha annunciato pubblicamente alcun piano per il prezzo del suo greggio in yuan o in qualsiasi altra valuta.

Vedremo…

Però l’essere ora l’Arabia Saudita, con il codazzo degli Emirati, a pieno titolo dentro i BRICS è una chiara indicazione che “qualcosa” maturerà.

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Niente da fare per una eventuale moneta comune a tutti i BRICS.

Le domande sono rimaste senza risposta.

Come potrebbe essere garantita la stabilità di una tale valuta di riserva?

Come potrebbe essere articolato con meccanismi commerciali di nuova creazione che non utilizzano US Dollar, come i bilaterali Cina-Russia, Cina-Brasile, Russia-India e simili?

Meglio aspettare ancora un po’.

Lula da Silva la ha proposta con insistenza e, se le elezioni argentine non saranno un disastro, sicuramente la faranno in SudAmerica: il “Sur”, il “Sud”, il suo nome è il suo programma.

L’indiano Modi è stato forse il più sulle sue in questo vertice: i vantaggi attuali dei BRICS vanno bene, ma è meglio evitare possibili futuri svantaggi.

Xi Jinping ha portato a casa il risultato di fare un “grande balzo in avanti” nel possibile futuro controllo delle fonti energetiche e nello scalfire US Dollar dove è più vulnerabile.

Il buon Vladimiro ha ottenuto la certezza che il fronte ucraino è secondario rispetto alle altre partite della “Nuova Guerra Fredda” e che comunque ha le spalle, e le retrovie coperte.

E i SudAfricani?

Anche loro hanno avuto la loro contropartita in termine di investimenti e di mercati stranieri; inoltre, con Egitto ed Etiopia dentro, possono seriamente pensare di realizzare l’antico sogno coloniale britannico: dal Cairo a Città del Capo, anche se con modalità affatto diverse.

Dopotutto, se il 10% della popolazione sudafricana si definisce Afrikaaner (bianchi), il 4% è di ascendenza del Regno Unito e, da bravi Inglesi, hanno “nasato” subito come butta l’aria dalle parti dell’Oceano Indiano…

Il ministro delle finanze sudafricano, Enoch Godongwana (Mo! Ca’ nòm! Deo bono!) ha rivelato dopo il vertice che: “Nessuno ha presentato la questione di una valuta BRICS, nemmeno in riunioni informali” e ha spiegato che la creazione di una moneta comune “presuppone la creazione di una banca centrale, vale a dire la perdita dell’indipendenza sulle politiche monetarie, e non penso che nessun paese sia pronto per questo”.

Come conseguenza di questa dichiarazione a Francoforte e a Bruxelles sono stati immediatamente scoperti due preoccupanti focolai di una possibile epidemia di “Acufene” (o fischio nelle orecchie) che colpisce solo l’impianto auricolare sinistro; secondo la credenza popolare: se il ronzio è nell’orecchio destro, allora qualcuno sta parlando bene di noi; se è nell’orecchio sinistro, allora qualcuno sta parlando male.

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https://www.rt.com/africa/581827-brics-dollar-alternative-local-currencies/

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Ponte Tresa (VA), 26.VIII.2023

Marco Brusa

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