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Bergamo in Comune | Aprile 29, 2024

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“ISRAELE STA DISTRUGGENDO TUTTO QUANTO È BELLO”

“ISRAELE STA DISTRUGGENDO TUTTO QUANTO È BELLO”

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https://www.haaretz.com/israel-news/2023-12-26/ty-article-magazine/.premium/bombing-historical-sites-in-gaza-israel-is-destroying-everything-beautiful/0000018c-a565-df1f-a7bf-b7e53e8e0000?subtitle=true&ismobileapp=true?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native

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Questo articolo non viene da notiziari di “oltrecortina”, ma direttamente da Tel Aviv, dal quotidiano israeliano Haaretz, giornale da noi spesso citato, connesso al New York Times, noto per le sue posizioni di “sinistra” e, soprattutto, decisamente contrario agli insediamenti dei coloni in CisGiordania.

Haaretz è il terzo quotidiano israeliano come tiratura ed è considerato essere il più influente; nel corso di questa guerra di Gaza si sta facendo portavoce del profondo malessere, per non dire della schizofrenia, che permea una parte della società israeliana, parte purtroppo decisamente minoritaria.

Da un lato effettua denunce sulle azioni delinquenziali del governo israeliano e sui crimini di guerra in atto a Gaza; dall’altro non può esimersi dall’essere “israeliano” e dal descrivere gli Israeliani come i “buoni” per definizione e gli “altri” come “brutti, sporchi e cattivi, anzi cattivissimi”…

Una condizione di malessere profondo, per non dire di vera e propria schizofrenia.

In ogni modo questa condizione la constatiamo e la lasciamo loro molto volentieri.

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Il presidente di Israele, Isaac Herzog, dà una dimostrazione della banalità del male e scrive una “spiritosaggine” su un proiettile di artiglieria che sarà sparato su Gaza.

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Quanto ci interessa notare è che, a livello globale, le operazioni di “cancel culture”, di cancellazione della memoria storica, si stanno moltiplicando a tutti i livelli: dalla distruzione dolosa e voluta di monumenti del passato alla “revisione” della storia portata avanti con decisione dai vari sistemi mediatici.

Avevamo già scritto su questo sito una critica alla distruzione dei monumenti a Cristoforo Colombo effettuata in alcune città USAmericane, ricordando come questi monumenti fossero stati realizzati per volere se non degli ultimi, dei “penultimi”, dei “Dago” come sono chiamati gli Italo-Americani negli USA; comunità seconda solo agli Afro-Americani in questa graduatoria (e anche in quella dei linciaggi subìti, qualcuno laggiù si è divertito a stilare anche questa classifica).

Questi monumenti rappresentano un simbolo di riscatto e di integrazione per i discendenti degli immigrati e non è un caso che, in alcuni casi, siano state le comunità italo-americane a fermare fisicamente i manifestanti che volevano distruggerli in quanto dedicati ad un “colonizzatore schiavista”.

Definizione quest’ultima alquanto forzata perché è vero che Genova è stata il principale mercato di schiavi del Mediterraneo, ma ha sempre condiviso questa posizione con Bisanzio ed Algeri (dove i Genovesi potevano a loro volta essere oggetto della tratta) e nessuno aveva la più pallida concezione alla fine del XV Secolo degli sviluppi coloniali del successivo mezzo millennio.

Testimoniamo inoltre (per averli visti) che nel nord del Messico, paese in cui alla fine hanno vinto i nativi che ne sono la componente dominante e dove detestano la colonizzazione anglo-sassone, i monumenti a Cristoforo Colombo sono ben presenti in piazze principali; per i Messicani costituiscono un emblema della loro dignità nazionale nei confronti dei detestati “Gringos”, non certo un monumento ad un “colonizzatore schiavista”.

Ovviamente non diciamo nulla per quanto riguarda la asportazione dei monumenti ai generali della Confederazione schiavista del Sud; è un argomento che, come è giusto, lasciamo alle valutazioni della popolazione del luogo: con Cristoforo Colombo siamo direttamente e culturalmente coinvolti, con il generale “Stonewall” Jackson un po’ meno.

Stiamo constatando come i siti di una qualsiasi valenza culturale siano diventati i primi ad essere colpiti con ferocia quanto la situazione diventa di conflitto.

Purtroppo si può proprio dire che, se si vuole preservare e tramandare ai posteri un bene, è meglio non farlo proclamare Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO, si attira troppo l’attenzione di malintenzionati globali…

Senza stare a ricordare anche il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino, questo lo abbiamo visto con la statua rupestre del Buddah di Bamiyan in Afganistan al tempo di Bin-Laden, con i tesori archeologici di Ninive ai tempi del cosiddetto “califfato”, con la orrenda morte data dall’ISIS all’anziano e colto direttore delle antichità di Palmira, Khaled al-Asaad, appeso ad una colonna romana torturato, come il Cristo durante la flagellazione, e decapitato,…

Ora lo stiamo vedendo con la lucida e voluta distruzione a Gaza dei siti storici da parte del “difensore dell’Occidente” che, secondo il MinCulPop mediatico nostrano, il governo israeliano sarebbe.

Tali azioni non sono “errori”, sono una voluta azione di annientamento del “nemico” attraverso la cancellazione non solo di alcune decine (o centinaia) di migliaia di vite, ma anche della sua memoria storica, della sua coscienza di sapere chi è e da dove proviene.

In questo modo, sia che si tratti di un “terruncello di periferia” di una nostra area metropolitana, televisionato e sempre connesso ai “social”, sia che si tratti di un “popolo inutile”, buono solo a concimare il terreno con i propri cadaveri, si ottiene il risultato di manipolare più facilmente tutti costoro e di rendere la situazione meglio gestibile da parte dei detentori del potere, sia esso economico, finanziario, coloniale, o altro.

La strategia è sempre la stessa della stupidità militare che non è capace di concepire nulla di diverso dal: “Là c’è il nemico. Pam! Pam!”.

Ma andiamo a leggere l’articolo di Haaretz e, in ogni modo, il venire a conoscenza che esistano persone come il dottor Dotan Halevy, l’archeologo Alon Arad e il giornalista Moshe Gilad ci fa sentire un poco meglio, con ogni evidenza non sono persone che coltivano la stupidità militare.

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Bergamo, 30.XII.2023

Marco Brusa

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Bombardamento di siti storici a Gaza: “Israele sta distruggendo tutto quanto è bello”.

Di Moshe Gilad – 26 dicembre 2023

La Grande Moschea di Omari del XIII secolo, la Chiesa di San Porfirio, il sito archeologico dell’antico porto: oltre alle migliaia di morti e alle centinaia di migliaia di sfollati, decine di siti storici nella Striscia di Gaza sono stati distrutti dai bombardamenti israeliani.

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Le informazioni che abbiamo riguardo alle antichità e ai beni culturali a Gaza sono limitate e frammentate, e la raccolta e la verifica dei dettagli è difficile.

Anche coloro che si occupano della questione da parte israeliana non si sentono a proprio agio nel dire a questo punto cosa è successo e quali siti sono stati danneggiati e certamente non identificano i colpevoli di queste azioni.

Il fuoco dei carri armati, i bombardamenti aerei o la demolizione di edifici con esplosivi sono più dal grilletto facile ora che in passato?

Alcuni dei qui di seguito intervistati sono impegnati nel complesso lavoro di raccolta delle informazioni e sono cauti nell’affermare conclusioni definitive; mentre altri, soprattutto sulla stampa estera, sono più decisi nella formulazione delle loro valutazioni.

Secondo il sito web Middle East Monitor, Israele ha deliberatamente distrutto dozzine di siti archeologici e antichità in tutta la Striscia di Gaza.

In un lungo articolo il sito web ha dettagliato i danni intenzionali causati a otto musei, tra cui Rafah e Khan Younis, nel sud di Gaza.

Inoltre, il sito web ha evidenziato i danni causati a dozzine di moschee, chiese e siti culturali e culturali a Gaza City: 21 centri culturali sono stati danneggiati, afferma l’articolo.

La guerra a Gaza è in corso da due mesi e mezzo, con intense e prolungate battaglie nei vari quartieri della città e decine di migliaia di persone sono state uccise nei combattimenti e centinaia di migliaia sono state sfollate dalle loro case.

In tali condizioni, pochi dedicano naturalmente molto tempo a considerare i danni ai siti religiosi o archeologici, alle istituzioni culturali o al patrimonio.

Al giorno d’oggi queste questioni sembrano quasi marginali, eppure è necessario prestare loro attenzione.

Il chiaro invito, un tempo considerato ovvio, a proteggere e preservare i beni del patrimonio culturale ora suona come una dichiarazione di predica, anche fuori dal mondo, con molti che mancano di pazienza per questo.

Ma il fatto è che Israele, forse per mancanza di scelta, mancanza di cura, o forse anche deliberatamente, sta distruggendo antichi tesori culturali. L’impatto di tale distruzione ci occuperà per gli anni a venire.

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https://www.middleeastmonitor.com/20231208-israel-targeting-gazas-history-destroying-ancient-mosques-churches/

https://www.middleeastmonitor.com/20231214-israels-war-on-gazas-heritage-under-fire/

https://www.middleeastmonitor.com/20231225-meet-the-italian-artist-drawing-palestines-struggle-in-the-streets-of-naples/

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LA BELLISSIMA MOSCHEA

Ogni elenco che riassume i danni ai siti del patrimonio culturale di Gaza inizia con la Grande Moschea: conosciuta anche come la Grande Moschea di Omari, era un simbolo che rappresentava la lunga storia di Gaza, secondo storici e archeologi.

All’inizio di dicembre, la più antica moschea di Gaza è stata distrutta in un attacco aereo delle Forze di Difesa Israeliane.

L’IDF ha dichiarato che la moschea, il cui minareto è ancora in piedi, era stata utilizzata come infrastruttura terroristica e che in essa era stato scoperto un tunnel.

Anche il mercato coperto adiacente alla moschea, una struttura del XIII secolo, è stato apparentemente danneggiato.

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“I siti storici di Gaza sono stati completamente abbandonati in questo momento”.

In un articolo degli archeologi Alon Arad e Talya Ezrahi di Emek Shaveh – una ONG israeliana composta da archeologi e attivisti sociali che lavorano per preservare i diritti del patrimonio e i siti di antichità come bene pubblico – sul sito web di Local Call, i due hanno scritto: “Senza entrare nella questione di chi sia la colpa, l’enorme danno alla moschea (Omari) stessa è un tragico danno a un sito storico di valore internazionale”.

https://emekshaveh.org/en/gaza-war/

La Grande Moschea era stata costruita sulle fondamenta di una chiesa bizantina, a sua volta eretta sul sito di un antico tempio filisteo: all’inizio del periodo musulmano era stata costruita una moschea, che era tornata ad essere una chiesa dopo la conquista crociata.

I Mamelucchi la avevano ricostruita come moschea nel XIII Secolo e gli Ottomani la avevano ristrutturata nel XVI Secolo.

Il grande viaggiatore del XIV Secolo Ibn Battuta la aveva soprannominata “la Bella Moschea”.

Il dottor Dotan Halevy, storico e borsista post-dottorato presso il Van Leer Institute, ha studiato la storia di Gaza City negli ultimi 15 anni e la sua tesi di dottorato ha riguardato la storia della regione tra la metà del XIX secolo e la metà del XX secolo.

Elencando i siti per i quali ci sono prove credibili di danni subiti durante la guerra, Halevy ha aggiunto che è necessario fare una distinzione tra siti utilizzati quotidianamente, come moschee e chiese, e siti archeologici non utilizzati regolarmente.

Per quanto riguarda la Grande Moschea di Omari, la preoccupazione non riguarda solo i danni alla struttura stessa, ma anche alla biblioteca che operava al suo interno, ha spiegato Halevy. La moschea ospitava una delle più grandi biblioteche palestinesi di manoscritti islamici, che sono stati raccolti nel corso di molti anni. Aveva subito danni nelle guerre precedenti. “Se davvero la biblioteca è stata danneggiata, è peggio del danno alla struttura stessa”, ha detto Halevy.

“Stiamo cercando di scoprire l’entità dei danni alla biblioteca, che è fondamentale perché si tratta di un deposito estremamente importante di manoscritti”, ha aggiunto Halevy, che ha pure fatto riferimento al progetto di salvataggio della British Library, l’Endangered Archives Project, che negli ultimi anni ha finanziato una scansione sistematica e la digitalizzazione dei manoscritti della biblioteca della moschea.

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Un altro sito importante è la Chiesa di San Porfirio, che è stata apparentemente danneggiata, ma non completamente distrutta.

La chiesa greco-ortodossa del V secolo si trova nel quartiere Zeitun di Gaza City, è la più antica chiesa funzionante della città ed è considerata una delle più antiche di tutta la Cristianità.

Secondo quanto è stato raccontato, due sale della struttura sono state danneggiate in un attacco aereo israeliano il 20 ottobre e la Chiesa greco-ortodossa ha definito il danneggiamento della struttura “un crimine di guerra”.

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Un altro sito danneggiato è Qasr al-Basha, noto anche come Castello di Radwan e di Napoleone.

Il sito era stato utilizzato come un grande palazzo nei periodi mamelucco e ottomano, e durante il periodo britannico è servito come stazione di polizia.

Negli ultimi anni il complesso ha ospitato un museo che espone oggetti e antichità di epoche passate.

Recentemente è stata esposta una statua in pietra di 4.500 anni fa della dea Anat, la dea della bellezza, dell’amore e della guerra nella mitologia cananea.

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Molti punti interrogativi riguardano le condizioni di un altro sito: Tell Umm Amer a Nuseirat.

Si tratta del Monastero di Sant’Ilarione, che prende il nome da uno dei primi monaci cristiani anacoreti nel deserto del III Secolo.

Il monastero bizantino è considerato uno dei siti cristiani centrali della Striscia di Gaza ed il luogo era stato ristrutturato negli ultimi anni e nelle scorse settimane l’Autorità Palestinese ha chiesto all’Unesco di riconoscerlo in un processo di emergenza come World Heritge Site.

Halevy sostiene che questa richiesta potrebbe indicare che il monastero non è stato completamente distrutto, nonostante i resoconti in tale senso.

Ulteriori testimonianze affermano che il cimitero meridionale di Gaza è stato distrutto.

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Tra gli altri siti che sono stati apparentemente danneggiati spicca il sito di scavo di Anthedon, l’antico porto di Gaza.

È stato riferito che il sito è stato danneggiato, ma è difficile trovare prove per confermarlo; anche perché l’area ha subito in precedenza gravi danni alle sue antichità da parte di Hamas, quando ha espanso il suo limitrofo campo di addestramento militare.

Anche Tell es-Sakan, uno dei primi insediamenti cananei, è stato apparentemente danneggiato prima della guerra, distrutto da Hamas per espandere il proprio campo di addestramento, e questa distruzione aveva suscitato grande rabbia tra gli archeologi francesi e palestinesi.

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Tra gli edifici moderni di valore storico che sono stati danneggiati, Halevy indica il Centro Culturale Rashad Shawa (dal nome del sindaco di Gaza negli anni ’70).

La struttura “brutalista” in cemento armato a vista è stata costruita dall’architetto Saad Mohaffel, completata 30 anni fa, era considerata una icona a Gaza ed era stata progettata per essere la sede del Parlamento palestinese una volta istituito questo Stato.

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PER L’ANIMA

Quando gli è stato chiesto quali fossero i suoi sentimenti alla luce di questI eventi, Halevy è rimasto in silenzio per un momento e poi ha risposto: «C’è una profonda tristezza ora. La tristezza è per il patrimonio che è stato distrutto, ma anche per il fatto che la gente di Gaza ci ha detto negli ultimi anni “Israele sta distruggendo tutto ciò che è bello. Israele sta distruggendo tutto ciò in cui è possibile trovare un po’ di consolazione”. Non sono un militare e non so quale delle attività sia giustificata, ma è triste. In passato ci sono state operazioni militari che includevano professionisti che indicavano ciò che non doveva essere distrutto. L’impressione oggi è che questo non venga fatto. È importante lasciare qualcosa per l’anima, per la storia».

È difficile per noi considerare Gaza come un luogo con cultura e residenti?

«Semplicemente noi non pensiamo a Gaza. Abbiamo costruito una recinzione, abbiamo deciso che è un’entità ostile e da allora non pensiamo più a quello che c’è lì dentro. Per quanto ci riguarda è un buco nero. Ci sono 2 milioni di persone lì, è come un piccolo Stato. Anche la mia prospettiva è limitata, ma dalla ricerca e dalla familiarità con le persone vedo Gaza come un luogo vivo e dinamico, come un luogo in cui le persone sono riuscite a vivere in modo relativamente normale. I luoghi che ora vengono distrutti esistono nella mia consapevolezza».

Non stiamo facendo distinzioni tra Gaza e Hamas?

«Nel dibattito pubblico israeliano non c’è questa distinzione. Sono tutti di Hamas o tutti fiancheggiatori di Hamas, e questo è falso. Guardate lo spaccato delle età a Gaza e capirete che metà della popolazione è nata sotto il dominio di Hamas, il che significa che non potevano scegliere nient’altro. In Israele si sa molto poco e si attribuisce tutto ad Hamas. Penso che il fallimento del 7 ottobre sia un fallimento di consapevolezza. Non sappiamo nulla di questo luogo e quindi non sappiamo anticipare ciò che ne emergerà».

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L’archeologo Alon Arad, direttore esecutivo dell’ONG Emek Shavey, ha spiegato che sono circa trecento i siti archeologici a Gaza, alcuni dei quali sono stati studiati durante il periodo del dominio israeliano.

Esiste una comprensione generale di quanto sta accadendo in questi siti, ma la sorveglianza dettagliata è molto difficile, ha detto Arad.

Un vero lavoro archeologico è stato quasi impossibile a Gaza negli ultimi 50 anni e soprattutto nei 15 anni trascorsi dall’inizio del governo di Hamas; l’unica ricerca è stata condotta dall’École Biblique, la scuola archeologica francese di Gerusalemme, che, secondo Arad, ha portato a termine diversi progetti di salvataggio di siti archeologici a Gaza.

Arad ha anche indicato “un intero mondo di musei privati che hanno operato a Gaza e solo di recente abbiamo iniziato a mapparli”, così come diversi archivi nelle chiese e all’esterno di esse.

«È difficile dare una valutazione completa della situazione, ma il punto di partenza è che dal momento in cui Israele ha annunciato la distruzione del regime di Hamas, questa [distruzione] include gli edifici governativi e i simboli della cultura e del governo. Questi luoghi sono fondamentali per la costruzione di un’identità. Sono motivo di orgoglio personale e nazionale. Nel momento in cui dichiari che il tuo obiettivo è quello di smantellare Hamas, stai anche smantellando l’identità di Gaza. Oggi non c’è nessuno che protegga i beni culturali di Gaza».

Il danneggiamento dei siti è intenzionale o è stato fatto accidentalmente?

«Questa è una domanda complessa. Apparentemente c’è un processo deliberato, ma non posso dire da dove provenga. C’è presumibilmente una presentazione al computer da parte del capo di stato maggiore che dice “Questi sono i beni culturali di Gaza e se li distruggiamo danneggeremo il nemico”, o un comandante junior sul campo decide che una certa struttura gli sembra “legata ad Hamas” e quindi la distrugge? Lo spirito del comandante è chiaro a tutti: distruggere Hamas e tutto ciò che è collegato ad esso. Al di là di questo, siamo nel mondo dei danni accidentali, che derivano dall’ignoranza».

«Il diritto internazionale del patrimonio proibisce l’uso dei siti del patrimonio come infrastruttura militare. È vietato costruire avamposti militari su di essi, e d’altra parte è vietato danneggiarli deliberatamente. È chiaro a tutti noi che nel momento in cui una forza viene attaccata dall’interno di una moschea, risponde al fuoco. Non ci si aspetta che un comandante subalterno dica ai suoi uomini: “No, no, quello è un edificio del quinto secolo, anche se ci sparano addosso non lo distruggeremo”».

«Eppure il diritto internazionale fa riferimento alla proporzionalità: se qualche proiettile è stato sparato dall’interno di una moschea, non sganceremo una bomba da una tonnellata su di essa. È difficile per me giudicare il processo decisionale dei giovani soldati in pericolo, ma il risultato è che ora ci sono gravi danni. Per me è chiaro che nessuna delle due parti sta adottando un approccio che aiuti a preservare i siti storici importanti».

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È cambiato qualcosa nell’attuale guerra?

«L’impressione è che l’IDF stia lavorando con considerazioni molto più permissive. Vediamo la distruzione diffusa a Gaza. I siti del patrimonio non fanno eccezione. Per noi è chiaro che Hamas utilizza almeno alcuni dei siti, ma l’impressione è che i siti storici di Gaza siano stati completamente abbandonati al momento, perché non c’è nessuno che se ne prenda cura. La preoccupazione è per il cibo, il carburante, l’acqua, e l’attenzione che si può prestare alla conservazione di un mosaico è inesistente».

«Ci sono diversi gruppi internazionali che hanno operato nella Striscia, ma non possono impedire la distruzione. Anche un’organizzazione come l’Unesco non ha alcun mandato e nessuna capacità di intervento, eppure va notato che ci sono tre siti nella lista dei siti provvisori del patrimonio mondiale: l’antico porto di Gaza, Tell Umm Amer e l’area delle zone umide costiere di Wadi Gaza, che è candidata come patrimonio naturale».

Ci pentiremo di questa distruzione?

«Certo che ce ne pentiremo. Condividiamo il patrimonio di questo luogo. Per quanto riguarda la riabilitazione futura, lo Stato palestinese sta perdendo risorse importanti, come parte della sua identità e come parte dell’economia locale che si basa sulla cultura e sul turismo. Questi siti sono una risorsa della comunità locale. Su di loro possono costruire un’identità, un’economia e una vita. Questi luoghi possono e devono essere motivo di orgoglio. Dobbiamo rispettarli e valorizzarli. Se smettiamo di dare per scontato che ogni richiamo di un muezzin sia un attacco spaventoso, ci troveremmo in una situazione migliore».

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https://www.haaretz.com/middle-east-news/palestinians/2023-09-25/ty-article/archaeologists-unearth-rare-lead-sarcophogi-in-gazas-largest-roman-era-cemetery/0000018a-cdd4-da14-a1eb-ddde03d70000

Gli archeologi portano alla luce un raro sarcofago di piombo nel più grande cimitero di epoca romana di Gaza.

Articolo del 25 settembre, due settimane prima che la guerra iniziasse…

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UNA PARTE DELLA TERRA DI ISRAELE (sic)

Il Prof. Reuven Amitai, professore di Storia Musulmana dell’Oriente presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, è un esperto di Gaza nel periodo mamelucco (circa 700 anni fa).

Questa settimana mi ha aiutato a capire l’importanza di Gaza nella nostra parte del mondo.

Gaza era una delle città più importanti della Terra di Israele (sic) durante il periodo mamelucco, ha detto, insieme a Safed e Gerusalemme.

La città fungeva all’epoca da capoluogo di provincia e da importante stazione di passaggio su un’arteria commerciale interregionale, ed era senza dubbio parte integrante della Terra d’Israele (sic, di nuovo).

La separazione tra Gaza e Israele a cui stiamo assistendo oggi è una nuova invenzione, vecchia solo di pochi decenni.

Grazie all’importanza strategica di Gaza, sono stati costruiti diversi ponti importanti nella regione: ad Ashdod, vicino a Yavne e sul torrente Shikma.

Gaza è anche circondata da un importante entroterra agricolo, e nei suoi dintorni si coltivavano cereali, uva, fichi, meloni e altri frutti.

Secondo il Prof. Amitai, non ci sono molti resti in città di quel periodo anche se c’erano diverse moschee in città, prima fra tutte la Grande Moschea di Omari, di cui abbiamo già parlato qui. Ha detto che gli ottomani hanno ricevuto un’eredità ben organizzata con un futuro, con circa 15 villaggi tra Gaza e Majdal (Ashkelon).

Fino al 1948 c’erano una serie di insediamenti tra Gaza e Ashkelon. C’era anche una comunità ebraica lì, ha detto Amitai, sia nel V secolo che più tardi nel XIV secolo.

Durante il periodo crociato non c’era apparentemente alcuna presenza ebraica a Gaza, mentre in seguito c’è stata una fiorente comunità ebraica la cui esistenza attesta stabilità e prosperità. Alla fine del periodo mamelucco vi abitavano circa 80 famiglie ebree, mentre in seguito Israele (sic, e dalli!) è diventata terra di musulmani, con il paesaggio di Gaza interamente islamico.

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Durante la ricerca di questo articolo, mi sono imbattuto in un recente rapporto scritto dall’unità archeologica dell’Amministrazione Civile intitolato “Attaccare e preservare – Operazione Spade di Ferro. Enfasi sulla conservazione delle antichità e del patrimonio”. Dopo aver menzionato il passato biblico di Gaza e le numerose strutture, cimiteri, musei, antichi porti della zona, l’ufficiale ha scritto: “In mezzo alla complessità della guerra e alle sue difficoltà operative, soldati e ufficiali dell’IDF etici e impegnati hanno trovato spazio per affrontare antichi ritrovamenti nell’area della Striscia di Gaza”.

L’ufficiale presenta un caso per la conservazione delle antichità sul campo e avverte che prendere souvenir sarà considerato un saccheggio. Ha aggiunto: “Nel caso in cui ci sia una necessità operativa di impegnarsi nell’identificazione [dei combattenti o dell’equipaggiamento di Hamas] in un’area di antichità (una chiesa, una moschea, un porto, un museo e così via) si dovrebbe prendere in considerazione l’utilizzo di metodi per ridurre al minimo i danni al sito. Ci dovrebbe essere un tentativo di salvare tutto ciò che è possibile, fatte salve le possibilità strategiche”.

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Tel Aviv, 26 dicembre 2023

Moshe Gilad

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http://www.bergamoincomune.it/in-macerie-la-piu-antica-moschea-di-gaza/

http://www.bergamoincomune.it/storia-della-stupidita-militare/

http://www.bergamoincomune.it/larca-dellalleanza-la-battaglia-del-1244-ed-i-siti-storici-di-gaza/

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