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Bergamo in Comune | Aprile 16, 2024

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MONUMENTI ANTIMILITARISTI

MONUMENTI ANTIMILITARISTI

Terza parte

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In questa terza parte ci occuperemo di tre monumenti antimilitaristi:

  • La giovane vedova di guerra e l’orfano di Pallanza (VB);

  • Angelita di Anzio;

  • Il reduce di Cingia de’ Botti (CR).

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LA GIOVANE VEDOVA DI GUERRA E L’ORFANO DI PALLANZA (VB)

Questo monumento appartiene alla prima serie di orientamento pacifista dell’inizio degli anni ’20.

È opera di un vero principe russo, Pavel Petrović Trubeckoj, ricchissimo, residente a Verbania, dedito solo all’arte e totalmente indifferente alle mode e alle pressioni politiche al punto di essere definito dai suoi denigratori come il “ricco dilettante”.

Guardate le foto di questa sua opera e valutate voi.

A noi viene più da pensare che sia più un artista del genere “molti nemici, molto onore”.

Le correnti artistiche a cui si è ispirato sono state principalmente l’Impressionismo e la Scapigliatura ed il monumento ai Caduti di Verbania-Pallanza da lui realizzato è di ispirazione decisamente antiretorica.

Trubeckoj plasma una giovanissima vedova posta sopra un blocco irregolare di granito alla cui base è posta una grande lapide in bronzo con il lungo (oltre un centinaio) elenco dei caduti di Verbania e di Pallanza.

La vedova, più attonita che affranta, con una mano lascia cadere un fiore sopra la lapide delle vittime, si è portati ad immaginare sulla tomba del marito caduto, e con l’altro braccio tiene il figlio orfano.

Non è presente un basamento ed i volti della vedova e dell’orfano sono volutamente collocati all’altezza di quelli dei passanti, in modo che chiunque possa guardarli negli occhi e constatare la loro infinita malinconia e tristezza.

È considerato essere un monumento ai “rimasti” ed ai loro sentimenti ed era semplicemente molto piaciuto ai reduci della zona che hanno sempre impedito con decisione che venisse rimosso.

Il fiore della vedova non è originale perché è stato più volte asportato da un qualche vandalo del sabato sera ed ogni volta è stato sempre reintegrato a cura del Comune.

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Pochi passi dietro la giovane vedova dieci anni dopo è stato volutamente costruito il piacentiniano mausoleo ad uno dei principali responsabili di quel massacro immane che la Grande Guerra è stata.

Su un promontorio artificiale sul lago si trova il massiccio, pesante e retorico mausoleo al general Cadorna, con tanto di sarcofago contenente i suoi resti mortali.

Su questo mausoleo sono presenti dodici marziali altorilievi che rappresentano i militari italiani e, in ossequio alla forzata equiparazione ideologica dell’epoca dei caduti nella Grande Guerra con i fascisti, anche lo squadrista è tuttora presente…

Lo squadrista è il secondo da sinistra e regge il fascio

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Un contrasto più forte non poteva essere realizzato.

Da una parte il dolore vero che viene trasmesso a chi guarda e che viene compreso, dall’altra la retorica militarista patriottarda allo stato puro.

È evidente che questo contrasto è stato voluto da coloro che hanno realizzato il mausoleo a colui che “ha scritto alla regina che se vuol vedere Trieste gliela manda in cartolina”.

Erano convinti di potere schiacciare in questo modo la povera vedova che troppo sentimento aveva suscitato tra i reduci e che non riuscivano proprio a rimuovere.

Al giorno d’oggi, invece, possiamo constatare anche in questo caso come il tempo sia galantuomo e come il risultato oggettivo sia esattamente l’opposto di quello voluto dai militaristi dell’epoca: la statua della vedova e dell’orfano continua a trasmetterci il sentimento che l’artista ha saputo rendere materiale, mentre il mausoleo al comandante di Caporetto è diventato solo un brutto “coso” amorfo che sta lì.

Per dirla alla lombarda: ’na roba ürenda.

http://www.ecosistemaverbano.org/scheda.html?id=6261

https://verbano24.it/index.php/9121-rubata-e-sostituita-la-rosa-della-vedova-del-monumento-ai-caduti

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ANGELITA DI ANZIO

Nel 1964, in pieno “boom” economico e con i reduci della Seconda Guerra Mondiale tutti in piena attività, un complesso di musica assai più che leggera, dichiaratamente organizzato al solo scopo di sfruttare la moda dell’epoca di commercializzare brani pseudo-latinoamericani, Los Marcello’s Ferial, se ne è uscito con un brano veramente anomalo ed inatteso per il testo e la storia che racconta.

Tale gruppo era stato messo insieme in fretta e furia due anni prima da una casa discografica per realizzare al volo la versione italiana di “Cuando calienta el sol”, tormentone dell’estate 1962, ed era stata sparsa la falsa voce pubblicitaria che si trattasse di un complessino messicano.

Incredibilmente e spontaneamente gli italianissimi membri di questo complesso hanno scritto quella che è ora considerata essere una delle principali canzoni antimilitariste internazionali, se non “la” canzone antimilitarista per eccellenza, tradotta anche in giapponese: Angelita di Anzio.

Chi scrive ricorda che sua madre si commuoveva ad ascoltarla la sera alla radio e cominciava a raccontare dei bombardamenti su Modena e dei comportamenti tra l’incredibilmente altruista e l’incredibilmente vigliacco che aveva visto in quelle occasioni.

Qui di seguito la versione originale e quella del coro alpino lecchese.

https://youtu.be/q72aiSjpPMM

https://youtu.be/bCOFXcJOSv0

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Nel gennaio 1944 gli Alleati sbarcano ad Anzio e la leggenda dice che con essi fosse il soldato scozzese Christopher S. Hayes che trova una bambina sola, in lacrime e terrorizzata, della apparente età di cinque anni.

I militari se ne prendono cura e le danno il nome di Angelita perché, verrà detto in seguito, sul suo vestitino è ricamato il nome: Angelina Rossi.

Gli abitanti di Anzio e di Nettuno vengono tutti evacuati/deportati sulle navi nel giro di pochissimi giorni ma, sempre secondo la leggenda, la bambina si trova con un reparto di primissima linea e non viene salvata.

I Tedeschi contrattaccano e la testa di ponte non viene rigettata a mare solo grazie al fuoco infernale delle artiglierie navali.

Una granata cade sulla trincea, Angelita rimane uccisa ed il suo corpo, lasciato insepolto, non viene più ritrovato quando alcuni giorni dopo il soldato che la aveva trovata lo cerca nel terreno sconvolto.

Il soldato Christopher S. Hayes sopravvive alla guerra e quasi venti anni dopo sente il bisogno di scrivere ad Anzio per chiedere notizie, voleva sapere se quel corpicino dilaniato avesse almeno trovato sepoltura e dove fosse la sua tomba.

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Dalla lettera del caporale Christopher C. Hayes, Royal Scots Fusiliers, al sindaco di Anzio, 15 febbraio 1961.

Signori,

so che mi scuserete se vi scrivo e se vi scrivo in inglese.

Sono uno di quei soldati che sbarcarono ad Anzio e facevo parte del Reggimento dei Fucilieri Scozzesi di Sua Maestà Britannica.

Il nostro Comando era alla fabbrica di sughero.

Quanto mi interessa sapere riguarda una bambina di cinque anni, Angelita Rossi.

La trovammo che piangeva sulla spiaggia e avevamo chiesto in giro se ci fossero genitori, parenti o qualcuno a cui fosse stata affidata, ma nessuno ne sapeva niente.

Arrivammo così alla conclusione che sia i genitori sia i parenti erano morti, come molti altri civili, sotto i colpi del nostro bombardamento iniziale.

Ci prendemmo cura di lei non facendole mancare niente (…).

Disgraziatamente, durante un violento bombardamento … (Angelita) si trovava in una trincea insieme a tre soldati britannici e a una infermiera della Croce Rossa Americana.

La bomba di un 88 tedesco colpì la trincea.

Tutti furono uccisi.

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Nessuna Angelina Rossi è stata mai trovata e forti dubbi esistono sulla versione del caporale scozzese il cui reparto non risulta essere stato presente ad Anzio nei giorni dello sbarco.

Probabilmente si è in presenza di buona fede e di ricordi completamente scomposti e modificati in conseguenza di traumi da combattimento.

Fino a pochi anni fa alcune signore hanno rivendicato di essere loro la “vera” Angelita di Anzio e di essere sopravvissute; ne sono nate polemiche anche piuttosto accese.

In ogni modo gli Anglo-Americani nelle fasi finali della guerra avevano preso l’abitudine di registrare come “Angel” i bambini sconosciuti che morivano negli ospedali militari e ad Anzio almeno una di queste bambine/vittime sembrerebbe (controllare gli originali è a noi impossibile) che sia stata davvero registrata.

Ma la questione se Angelita sia davvero esistita e chi sia stata è affatto irrilevante.

Angelita è un simbolo della brutalità della guerra ed è ciascuno di quei milioni, o decine di milioni, di bambini che vengono travolti dagli eventi bellici.

Dalle centinaia di migliaia (numero vero) di orfani di Leningrado che il compagno Aleksej Kossighin (forse l’ultimo sovietico degno di questo attributo) ha caricato, con al collo solo un cartoncino con il nome, in fretta e disperazione sulle slitte ed i camion che lasciavano Leningrado percorrendo a ritroso la “Strada della Vita” sul Ladoga ghiacciato nell’inverno 1941-42.

Agli stermini effettuati dalle aviazioni da bombardamento sulle città europee e giapponesi, in Corea ed in Vietnam con napalm, alti esplosivi e persino due atomiche che hanno reso impossibile ogni contabilità.

Agli oltre diecimila bambini morti ora secondo la contabilità UNICEF nella guerra dello Yemen.

E l’elenco è senza fine.

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Anzio ha dedicato ad Angelita un monumento posto sul mare in corrispondenza di dove gli Anglo-Americani erano sbarcati durante l’Anno Internazionale del Bambino.

Si tratta della statua in bronzo di una bambina molto magra che danza con un volo di gabbiani, opera dello scultore bolognese Sergio Capellini ed inaugurata il 22 gennaio 1979.

In seguito Sergio Capellini è stato ammesso come membro della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti.

Una sola osservazione si può fare a proposito di questo monumento: se in Lombardia il cosiddetto “arredo urbano” è diventato una vera e propria ossessione con lucrosi finanziamenti pubblici anche ad architetti dalle capacità a dir poco dubbie, ad Anzio (so’ Romani) evidentemente non sono arrivati a questi livelli, tuttavia una maggiore zona di rispetto al monumento senza auto parcheggiate non sarebbe poi una cattiva idea.

http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=12739

https://web.archive.org/web/20080512000035/http://www.anzio.net/davedere/angelita.htm

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=1035&lang=it

https://storiestoria.wordpress.com/tag/la-storia-di-angelita-di-anzio/

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IL REDUCE DI CINGIA DE’ BOTTI (CR)

Nel piazzale della scuola elementare di Cingia de’ Botti (CR) era posta una scultura in bronzo dedicata ai caduti della Grande Guerra inaugurata nel 1924 che faceva parte della prima serie di monumenti in cui le commemorazioni delle vittime sono state principalmente di orientamento pacifista.

A buon diritto poteva essere considerato un fratello del monumento di Villa d’Adda e la sua simbologia ne era simile: un reduce ferito è caduto a terra esausto ed alza il braccio destro con la mano fasciata su cui si librano due colombe della Pace, non è volutamente chiaro se queste colombe arrivano a rinfrancare il superstite o se vengono da questo invitate a librarsi e a volare nel mondo, il gesto è comunque di fatto identico a quello del reduce che offre il ramo di ulivo.

L’autore è stato Francesco Riccardo Monti, scultore cremonese ferito nella Grande Guerra e congedato con il grado di caporale, la cui vita è stata a dir poco molto interessante.

Pochi anni dopo la realizzazione del monumento di Cingia de’ Botti aveva partecipato ad un concorso per la realizzazione a Cremona di un non mai realizzato monumento anche ai caduti austro-ungarici (il movimento pacifista, nonostante il fascismo, era evidentemente forte) ed il suo bozzetto era stato quello prescelto, ma la commissione esaminatrice era stata poi obbligata a proclamare vincitore un altro “artista di chiara ispirazione fascista”.

Per questo, ma evidentemente anche per altri motivi, il Monti decide di emigrare con la famiglia prima in America e poi nelle Filippine dove può lavorare in tutta tranquillità venendo molto ben considerato dagli indigeni.

Le sue opere filippine sono state roba come la statua del rivoluzionario ed eroe nazionale Andrés Bonifacio, le allegorie della Libertà di parola e di espressione, della Libertà di credo e di religione, della Libertà dai desideri, della Libertà dalla paura.

Non propriamente roba autoritaria…

Durante l’invasione giapponese è stato accusato di fare parte della Resistenza filippina, incarcerato e condannato alla fucilazione. Si è salvato per l’intercessione del Delegato Apostolico. È morto a Manila anni dopo la guerra e nelle Filippine è considerato una gloria nazionale.

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Il monumento di Cingia de’ Botti è stato volutamente distrutto, insieme a molti altri della prima serie pacifista, nel 1941 per destinarne il bronzo all’industria bellica.

Nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale, per far fronte ad “esigenze militari” nonché per “alleviare la crisi dell’industria marmifera italiana” (sic), il fascismo ha pensato di recuperare parte del bronzo che era stato impiegato per la memoria dei caduti, cominciando dai monumenti in bronzo “privi di particolare valore storico e artistico”, e di sostituirlo con allegorie in marmo.

Ovviamente, più un monumento aveva una simbologia pacifista ed antimilitarista, più è stato classificato come “arte degenerata” priva di qualsiasi valore artistico.

E il monumento con il reduce e la colomba della Pace di Cingia de’ Botti è finito in fonderia, sostituito da un marmo in stile “pompiere”.

https://www.movio.beniculturali.it/sbeap-bs/bronzoallamemoriabronzoallapatria/it/76/monumenti-rimossi

https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-riccardo-monti_%28Dizionario-Biografico%29/

https://www.movio.beniculturali.it/sbeap-bs/bronzoallamemoriabronzoallapatria/it/31/il-fenomeno-del-bronzo-alla-patria

Bergamo, 01.VI.2022

Marco Brusa

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http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi/

http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi-2/

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