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Bergamo in Comune | 18 Maggio 2025

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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA, UCRAINA E PALESTINA

DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA, UCRAINA E PALESTINA

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I dazi di Donaldo, applicati secondo la ben nota tecnica del “spara mille e, alla fine, accontentati di un duecento più o meno abbondante”, stanno sconvolgendo non solo l’economia globale, ma anche il mondo degli economisti neo-liberisti che si sono messi a sostenere le tesi più bislacche sul MinCulPop mediatico.

Un esempio, il recente titolo in prima pagina sul maggiore quotidiano nazionale: “I dazi frenano il Pil (sic, minuscolo) americano”. Ma come fanno a saperlo? Determinare il cosiddetto PIL è una operazione complessa, si calcola su base annua e al massimo si fanno previsioni trimestrali; arrivare a fare questa affermazione categorica dopo sole tre settimane significa essere il Mago Otelmo… o degli spara-scempiaggini.

Sembra quasi di assistere ad un “Toto-Papa”, evento in cui nessuno ha la più pallida idea di quello che sta per accadere, ma in molti vogliono comunque dire la loro (nel più puro stile degli energumeni: “Ho ragione me! Cosa vuoi te?”), ottenendo il brillantissimo risultato di fare “pettegolezzo” puro, in stile giornaletto scandalistico degli anni ’60 (quelli letti avidamente dalla mia cara nonnetta).

E ottenendo pure il risultato che non ci si capisce più niente…

Nel caso del “Toto-Papa” la faccenda si risolverà da sola nel giro di circa una settimana ed il problema non si pone.

Nel caso dei dazi di Donaldo e dei deliri degli economisti neo-liberisti la faccenda è un po’ più seria, soprattutto perché non si risolverà nel giro di una settimana…

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In ogni modo la guerra è sempre un buon affare e, se combattuta lontano, permette sempre il rilancio dell’economia e infatti non sono solo i funzionari delle finanziarie di Wall Street che attualmente amministrano l’Unione Europea a volere il riarmo e la continuazione a tutti i costi della guerra in Ucraina, ma anche il Donaldo ha deciso di incrementare del 13% le spese annuali per la guerr… Oops!… per la difesa degli USA.

L’allora presidente americano F.D.Roosevelt dopo la grande crisi del ’29 aveva provato in tutti i modi di fare investimenti pubblici e grandi opere per rilanciare l’economia, ma non gli era riuscito molto bene.

Poi i Giapunàt hanno avuto la stupenda idea di bombardare Pearl Harbor e l’economia USA è decollata alla grande.

Una guerra all’estero ogni quindici/venti anni risulta fondamentale per la buona tenuta della economia occidentale, si vedano: la Corea, il VietNam, le guerre del golfo, la ex-Jugoslavia, Gaza, etc.

Nel caso degli USA i servizi sociali che si verranno a tagliare sono quelli internazionali: “Fuori dalle scatole l’ONU e le sue agenzie per la cultura, la sanità, la produzione alimentare e lo sviluppo dei popoli!”.

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Per cercare di capire qualche cosa in più siamo andati a leggere alcuni siti stranieri su internet (alcuni censurati nella UE, ma liberamente accessibili dal resto del mondo) e, grazie ai “servers” di Singapore e alla nostra VPN, abbiamo trovato alcune analisi di persone lucide e per nulla deliranti che vi proponiamo citando la fonte.

Auspicando che anche i compagni la piantino di sparare prevalentemente insulti (che sono un caso ristretto del più generale insieme delle scempiaggini) e cerchino di comprendere con logica razionale il mondo in cui viviamo.

Ma prima vi proponiamo una analisi semiseria dei dazi originali emessi dal Trump ad inizio aprile: il famoso “chiedi mille, ma poi tratta per un duecento/trecento”.

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Il Liechtenstein si becca un 37% di dazi.

Evidentemente ha esportato troppi beni di lusso negli USA e l’algoritmo usato dal Trump lo ha immediatamente punito.

Dal momento che l’unico bene di lusso prodotto dal Liechtenstein è il denaro stesso (che vi entra in nero e, una volta “lavato” dalle banche del Principato, ne esce “pulito”) posiamo aspettarci che le finanziarie legate alle “onorate società” faranno presto un cazziatone al Donaldo…

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Il Principato di Monaco si becca solo un 10% di dazi, la metà della UE.

Evidentemente, dal momento che anche qui l’unica produzione è quella di denaro e che è molto usato dalle finanziarie delle “onorate società”, qualcuno deve avere detto al Donaldo di fare una roba solo simbolica e di non fare fesserie, e tanto meno fetenzìe…

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Pure San Marino si cucca solo un 10’ di dazio.

Questo è chiaramente un favore che Donaldo fa alla Giorgia: “Tranquilla”, le ha detto, “Visto che Tedeschi e Francesi hanno fatto per tre anni un contrabbando da paura con la Russia tramite la Turchia, il Kazakistan, gli Emirati ed Israele, ti faccio fare un po’ di contrabbando con gli USA tramite San Marino e in cambio tu… etc. etc.”

Dobbiamo aspettarci un incremento della Madonna delle esportazioni da San Marino agli USA.

Tutte le Ferrari e i capi firmati passeranno di lì…

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Parlando seriamente: la UE non è quella che si becca i dazi peggiori, i dazi a Formosa, Cina, India, Corea, Giappone e (chissà perché? Deve trattarsi di una reminiscenza atavica) Vietnam sono ben peggiori.

Anche con la Svizzera non si scherza per niente (devono avere “pulito” male qualcosa, o stanno vendendo troppi orologi).

Però, mettere quei dazi a Formosa e alla Corea equivale dire loro: “andate a fare affari con la Cina!”

E infatti i Coreani hanno già sbattuto in galera l’ex-presidente golpista e stanno chiedendo alla Cina se si può organizzare un trattato di scambio commerciale…

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Le isole Heard e McDonald sono un territorio disabitato australiano nell’Oceano Indiano a 53° di latitudine sud e sono abitate solo da pinguini e da foche.

Le Svarlbard sono un territorio autonomo norvegese con meno di tremila abitanti a 74° e oltre di latitudine nord.

Praticamente vi vivono più orsi bianchi che homines sapientes.

Sono state entrambe parimenti colpite dai dazi del Trump nonostante non abbiano interscambio commerciale con nessuno (le miniere di carbone delle Svarlbard sono chiuse da decenni).

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https://t.me/italiabrics/801

Ed intanto i BRICS gongolano…

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Ponte Tresa (VA), 03.V.2025

Marco Brusa

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ECCO PERCHÉ LA POLITICA ESTERA DI TRUMP È CALCOLATA E NON CAOTICA

Il nuovo realismo dell’America significa pace con la Russia e attenzione alla Cina.

Di Dmitry Trenin, professore presso la Higher School of Economics e ricercatore capo presso l’Institute of World Economy and International Relations.

È anche membro del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC).

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https://www.rt.com/news/616578-trumps-foreign-policy-calculated/

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IL NUOVO REALISMO DEGLI USA SIGNIFICA PACE CON LA RUSSIA E ATTENZIONE CON LA CINA

Di Dmitry Trenin, professore di ricerca presso la Higher School of Economics e ricercatore capo presso l’Institute of World Economy and International Relations.

È anche membro del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC).

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I primi cento giorni della seconda presidenza di Donald Trump hanno scatenato un’ondata di commenti che lo hanno dipinto come un rivoluzionario.

In effetti, la velocità, la pressione e la determinazione con cui ha agito sono impressionanti, ma questa è una visione superficiale.

Trump non sta smantellando le fondamenta dello Stato o della società americana, al contrario cerca di ripristinare la repubblica pre-globalista che l’élite “liberal” ha da tempo deviato su un percorso internazionalista utopico.

In questo senso, Trump non è un rivoluzionario, ma un controrivoluzionario, un revisionista ideologico determinato a invertire gli eccessi dell’era liberale.

In patria, Trump beneficia delle maggioranze repubblicane in entrambe le camere del Congresso, le sfide legali alle sue politiche –in particolare sul ridimensionamento del governo e sulla deportazione degli immigrati illegali– hanno finora fatto pochi progressi e, abituato agli attacchi dei media, Trump continua a reagire duramente.

La recente storia secondo cui alti funzionari hanno discusso gli attacchi allo Yemen su Signal non ha ottenuto conseguenze politiche, ma hanno rinforzato la sua immagine come quella di un presidente che agisce con decisione e senza paura di scandali.

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Il corso economico di Trump è chiaro: reindustrializzazione, protezionismo tariffario e investimenti in tecnologie all’avanguardia.

Sta invertendo decenni di integrazione globalista, facendo pressione sugli alleati per mettere in comune le risorse finanziarie e tecnologiche con gli Stati Uniti per ricostruire la loro base industriale.

Come tattica Trump prima esercita pressioni forti, poi offre compromessi per attirare i concorrenti in negoziati favorevoli all’America e questo approccio è stato efficace, in particolare con gli alleati di Washington.

Anche con la Cina, Trump sta scommettendo che la dipendenza di Pechino dal mercato statunitense e l’influenza dell’America sulla politica commerciale dell’UE e del Giappone produrranno concessioni strategiche.

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In geopolitica, Trump abbraccia una dottrina realista fondata sulla competizione tra grandi potenze.

Ha definito le sue priorità globali: rendere il Nord America una fortezza geopolitica dalla Groenlandia a Panama; reindirizzare gli Stati Uniti e le potenze alleate verso il contenimento della Cina; fare la pace con la Russia; e consolidare l’influenza in Medio Oriente sostenendo Israele, collaborando con le monarchie del Golfo e affrontando l’Iran.

Nella sfera militare, Trump sta perseguendo una maggiore forza americana epurando le forze armate dal “liberalismo di genere” e accelerando la modernizzazione nucleare strategica.

Nonostante le sue aperture pubbliche di pace, ha continuato gli attacchi aerei contro gli Houthi nello Yemen e ha minacciato devastanti ritorsioni contro l’Iran se i negoziati dovessero fallire.

Il suo approccio all’Ucraina riflette pragmatismo strategico: Trump mira a porre fine alla guerra rapidamente, non per simpatia per la Russia, ma per liberare risorse statunitensi per il teatro del Pacifico e ridurre il rischio di un’escalation in un conflitto nucleare e si aspetta che l’Europa occidentale si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa.

È importante sottolineare che Trump non vede la Russia come un avversario primario, ma solo come un rivale geopolitico, non come una minaccia militare o ideologica.

Piuttosto che spingere per separare la Russia dalla Cina, mira a coinvolgere nuovamente la Russia economicamente – in settori come l’energia, l’Artico e le terre rare – con l’aspettativa che un maggiore impegno economico occidentale ridurrà la dipendenza di Mosca da Pechino.

In effetti, l’apertura al Cremlino è diventata il fulcro della politica estera di Trump nel suo secondo mandato.

Il suo obiettivo non è quello di dividere Mosca e Pechino a titolo definitivo, ma di gettare le basi per un nuovo equilibrio di potere globale in cui la Russia abbia opzioni al di là dell’orbita cinese.

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In sintesi, Trump non sta abbattendo il sistema americano, ma sta cercando di ripristinarlo.

La sua controrivoluzione mira a invertire le distorsioni liberal-globaliste, a rafforzare la sovranità e a riportare il realismo negli affari internazionali

 È questo obiettivo – non il caos o lo scontro – che sta definendo la sua presidenza.

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TRUMP SA ESATTAMENTE COSA SIGNIFICA LA SUA GUERRA COMMERCIALE CON LA CINA

Questo gioco d’azzardo però comporta rischi di destabilizzazione economica globale, contraccolpi agli alleati e consegna alla Cina di ancora più potere e autorità.

di John P. Ruehl, giornalista australiano-americano che vive a Washington.

Ha collaborato con diverse pubblicazioni di politica estera ed è noto per il suo libro “Superpotenza budget: come la Russia ha sfidato l’Occidente con un’economia più piccola di quella del Texas”.

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https://asiatimes.com/2025/04/trump-knows-exactly-what-his-china-trade-war-means/

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Anche se non lo ha dichiarato apertamente, Trump mira a rompere il dominio del modello economico cinese guidato dalle esportazioni, con la consapevolezza che ci saranno alcune conseguenze per l’economia statunitense.

Questa scommessa comporta i rischi di destabilizzazione economica globale, di contraccolpi pesanti agli alleati e di consegnare alla Cina ancora più potere sulla scena globale.

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La fine della Guerra Fredda all’inizio degli anni ’90 ha lasciato gli Stati Uniti fiduciosi di poter continuare a guidare il commercio globale alle proprie condizioni.

Come conseguenza gli USA hanno spinto per tagli tariffari globali e per accordi di libero scambio come l’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), mentre le società statunitensi hanno contribuito a costruire la produzione estera, in particolare in Cina, che ha beneficiato di condizioni commerciali preferenziali nell’ambito del suo status commerciale di Nazione più favorita.

I consumatori americani hanno assorbito la sovrapproduzione globale e i profitti delle imprese sono aumentati vertiginosamente, anche se molti lavoratori americani sono stati sempre più lasciati indietro.

Con l’assistenza delle imprese statunitensi, la Cina ha acquisito capitale e competenze tecnologiche per diventare la “fabbrica del mondo” e l’accesso a basse tariffe al mercato statunitense ha dato a Pechino un surplus di 300 miliardi di dollari rispetto all’America nel 2024, facendola emergere come il principale esportatore e creditore del mondo.

Come la Cina, l’UE e il Giappone hanno realizzato ampi surplus commerciali con gli Stati Uniti, una problematica che si sarebbe dovuta affrontare da tempo, ma l’unità geopolitica con gli Stati Uniti sulla scena globale ha di fatto impedito iniziative in questo senso.

L’attenzione del secondo mandato di Trump ha colpito anche gli alleati, ma l’attenzione rimane rivolta alla Cina, con i dazi individuali su altri paesi sospesi il 9 aprile, mentre i dazi su Pechino sono aumentati.

Oltre a ridurre le esportazioni dirette, Washington cerca anche di mirare al ruolo della Cina nel commercio globale.

La spinta di Biden verso la produzione “nearshore” in paesi come il Messico non ha ottenuto molto risultato, poiché le aziende cinesi si sono rapidamente stabilite nei nuovi parchi industriali messicani.

Molte importazioni spedite negli Stati Uniti da altri paesi contengono anche componenti cinesi, il che significa che l’aumento dei dazi “di base” del 10% di Trump su tutte le importazioni ha lo scopo di contrastare altri paesi che fungono da canali per le merci cinesi.

Anche se un presidente più convenzionale seguisse, gli aumenti dei dazi di Trump e il conseguente reindirizzamento della catena di approvvigionamento potrebbero rivelarsi difficili da annullare.

I critici si chiedono se questa transizione possa essere rapida, conveniente o efficace, ma la pandemia di Covid-19 ha dimostrato che le catene di approvvigionamento possono riorientarsi sotto pressione in tempi relativamente brevi, proprio come la Cina ha dimostrato la sua agilità avviando operazioni in Messico negli anni 2020.

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RISCHI INTERNI

Una guerra tariffaria aumenterà comunque i prezzi per i consumatori e le imprese, ponendo fine all’era dei beni globali a basso costo da cui l’economia statunitense dipende da decenni.

Molti Paesi hanno deciso di mantenere comunque legami amichevoli per mantenere l’accesso al mercato dei consumatori e hanno reinvestito dollari USA in azioni, obbligazioni e immobili americani. Una volatilità o un calo prolungati di questi investimenti ridurrebbe inevitabilmente negli USA le pensioni, la ricchezza delle famiglie e le valutazioni societarie.

Alcuni sostengono che, se i mercati azionari globali dovessero crollare, il denaro potrebbe affluire e abbassare il prezzo dei titoli del Tesoro statunitensi, consentendo al governo di rifinanziare le obbligazioni a lungo termine con debito più economico.

Tuttavia, molti detentori di debito tradizionali degli Stati Uniti potrebbero richiedere concessioni prima di continuare a finanziarlo.

I rendimenti dei Buoni del Tesoro USA sono già aumentati, rendendo più costoso il nuovo debito, e la Cina, il secondo maggiore detentore del debito statunitense, è sospettata di aver abbandonato le obbligazioni USA per contribuire a questa riduzione.

La Cina ha reagito anche aumentando le proprie tariffe e interrompendo di recente le esportazioni di alcune terre rare e minerali critici essenziali per le moderne tecnologie.

Inoltre le sue aziende sostenute dallo stato possono inondare i mercati globali con beni a basso costo e tecnologia avanzata, mettendo fuori mercato i concorrenti.

Con una crescente presenza nelle istituzioni internazionali e nei blocchi commerciali, Pechino potrebbe plasmare sempre più le norme economiche globali se queste istituzioni e accordi diventassero più fluidi.

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Trump vuole anche svalutare il dollaro per rendere le esportazioni statunitensi più competitive, ma insiste nel mantenere il dollaro come valuta di riserva mondiale, il che facilita l’accesso al debito a basso costo.

Il suo approccio sta minando la fiducia globale nel dollaro, anche se non è ancora emersa una chiara alternativa.

Le politiche di Trump hanno un certo sostegno da parte della classe imprenditoriale statunitense, che un tempo vedeva la Cina come un mercato promettente, ma ora la vede come un rivale.

Non più limitate ai beni a basso costo, le aziende cinesi come Temu, Shein e BYD minacciano sempre più giganti come Amazon e Tesla.

Qualsiasi successo nel riportare la produzione avverrà principalmente attraverso l’automazione invece che attraverso lavori ben retribuiti, a vantaggio delle principali società statunitensi.

Tuttavia, decenni di cooperazione con la Cina significano che queste aziende rimangono esposte, con importanti figure aziendali che esprimono preoccupazione pubblica ed Elon Musk che critica pubblicamente questa spinta tariffaria.

Rispetto all’approccio imprevedibile di Trump, la Cina e l’UE si sono posizionate come ancore stabili dell’economia globale.

Gli appelli degli Stati Uniti a coordinarsi con i principali alleati economici come l’UE e il Giappone per limitare i rapporti con la Cina, compresa la riduzione delle importazioni cinesi e l’impedimento alle sue aziende di stabilirsi, rischiano di cadere nel vuoto poiché i dazi hanno messo a dura prova i legami.

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RISCHI GLOBALI

Ridurre l’accesso ai consumatori statunitensi minaccia anche un importante pilastro della stabilità economica globale: Gli USA hanno rappresentato circa il 13% del consumo globale di importazioni nel 2023, fungendo da valvola di sicurezza per la sovrapproduzione globale assorbendo le merci in eccesso.

La Cina con il suo surplus commerciale di trecento miliardi di dollari con gli Stati Uniti esemplifica la sua dipendenza e la sua possibilità più limitata per le ritorsioni, anche perché la UE ha già dichiarato che non tollererà un’ondata di merci cinesi, poiché, come gli Stati Uniti, si trova sempre più a competere con la Cina nei prodotti di fascia alta.

L’UE e il Canada hanno analogamente aumentato i dazi nei confronti degli Stati Uniti.

L’amministrazione Trump ha messo alla prova l’unità dell’UE corteggiando alleati scettici sulla globalizzazione come il primo ministro italiano Giorgia Meloni, anche se è probabile che le tensioni tra le due rive dell’Atlantico siano destinate ad approfondirsi prima di allentarsi di nuovo.

La lotta dell’Europa per dare sostegno all’Ucraina contro la Russia ha mostrato quali sono i pericoli della deindustrializzazione, una tendenza che gli Stati Uniti ora cercano di invertire radicalmente al loro interno.

E, prendendo di mira anche gli alleati con i dazi, gli Stati Uniti si assicurano che qualsiasi sofferenza economica autoinflitta sia compensata all’estero, rendendo il costo della ridefinizione del commercio un onere condiviso.

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Forzare una guerra commerciale globale – un’escalation dello scontro tariffario tra Canada e Cina nel 2025 è un segno – probabilmente indebolirà ulteriormente il modello cinese guidato dalle esportazioni.

Gli Stati Uniti continuano ad avere un ruolo importante nella salvaguardia del commercio marittimo globale, già messo a dura prova da blocchi come gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso e l’incremento diffuso della pirateria, ma le tensioni geopolitiche potrebbero interrompere altre rotte chiave.

Senza l’intervento degli Stati Uniti, il libero scambio dovrà affrontare un aumento dei costi di spedizione e assicurazione.

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Trump ha cambiato spesso tattica nel suo primo mandato, mescolando minacce con negoziati, ma questa volta sembra determinato a fare dell’inversione di tendenza nei bilanci dei mercati il ruolo centrale della sua attività, questa volta concentrandosi sulla Cina.

Rottamare il vecchio, a suo avviso, sistema non riformabile e favorire tutto quanto ne conseguirà si basa sulla convinzione che gli Stati Uniti siano ora nella posizione migliore per plasmare un nuovo sistema.

La domanda ora è: quali paesi sosterranno questo cambiamento o saranno costretti a farlo?

Che si verifichi o meno un completo abbattimento della globalizzazione, Trump sembra pronto a spingere il più forte possibile, rispettando comunque certi limiti.

Come è evidenziato dall’essere gran parte della cosiddetta merce “Make America Great Again – MAGA” ancora prodotta in Cina, smantellare i vantaggi di Pechino nel commercio globale non sarà facile.

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TTUMP PRETENDE LA CIFRA RECORD DI UN MIGLIAIO DI MILIARDI (UN TRILLIONE) DI DOLLARI PER LA DIFESA NEL 2026

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https://sputnikglobe.com/20250502/trump-requests-record-101-trillion-for-national-defense-for-fy2026-1121968130.html

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha proposto uno storico budget di 1,01 trilioni di dollari per la difesa nazionale per l’anno fiscale 2026, che rappresenta un aumento del 13% rispetto agli 878,4 miliardi di dollari dell’anno in corso, secondo un documento pubblicato venerdì dall’Office of Management and Budget (OMB).

“Per la spesa per la Difesa, il Presidente propone un aumento del 13% a 1,01 trilioni di dollari per l’anno fiscale 2026”, ha dichiarato il direttore dell’OMB Russell Vought in una lettera alla presidente della Commissione per gli stanziamenti del Senato Susan Collins.

Trump ha anche proposto di tagliare la spesa discrezionale non per la difesa di 163 miliardi di dollari, pari al 22,6%.

La richiesta di bilancio della difesa include 113 miliardi di dollari di finanziamenti obbligatori e sottolinea gli investimenti volti a rivitalizzare la base industriale della difesa degli Stati Uniti, scoraggiare la potenziale aggressione cinese e modernizzare il deterrente nucleare degli Stati Uniti.

La proposta di bilancio di Trump sostiene il dominio spaziale degli Stati Uniti per rafforzare la sicurezza nazionale e il vantaggio strategico degli Stati Uniti.

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“Il bilancio mette in pausa la maggior parte dei contributi valutari e tutti i contributi volontari alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali, tra cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura e l’Organizzazione mondiale della sanità.

Il bilancio di Trump inoltre non stanzia fondi per le “dispendiose” delle Nazioni Unite (ONU) e altre missioni di mantenimento della pace, citando i recenti fallimenti e gli alti costi.

La Amministrazione Trump ha chiesto venerdì nella sua proposta di bilancio 2026 di riorientare i finanziamenti della NASA sul volo sulla Luna e sull’invio di esseri umani su Marte.

“Il bilancio riduce le dimensioni dell’equipaggio della stazione spaziale e la ricerca a bordo, preparandosi per uno smantellamento sicuro della stazione entro il 2030 e la sostituzione con stazioni spaziali commerciali”, ha detto la Casa Bianca.

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Trump ha richiesto un investimento record di 175 miliardi di dollari per rendere completamente sicuro il confine con gli Stati Uniti, secondo il documento.

La proposta di bilancio di Trump elimina i finanziamenti per il programma National Endowment for Democracy in quanto è stato utilizzato “per inserire nella lista nera i media conservatori” ed etichettare figure come JD Vance come “propagandisti stranieri della Federazione Russa” sotto l’amministrazione Biden, afferma il documento.

La richiesta di bilancio propone anche la chiusura dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e il trasferimento dei programmi rimanenti sotto l’egida del Dipartimento di Stato.

Inoltre, propone la chiusura dell’Istituto per la Pace degli Stati Uniti.

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