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Bergamo in Comune | Novembre 6, 2024

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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA, UCRAINA E PALESTINA

DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA, UCRAINA E PALESTINA

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IL FORUM DEI BRICS DÀ FILO DA TORCERE ALLA BANDA DEL FMI

Pubblichiamo la traduzione di un articolo apparso il 22 ottobre su Asia Times, quotidiano di Hong Kong di cui abbiamo già più volte parlato, che è un connubio tra economia pianificata ed economia neo-liberista e che, soprattutto, ha la interessante caratteristica che molto di quanto anticipa poi si scopre che si è avverato.

Interessante che un articolo come quello a seguire lo si debba andare a cercare “all’altro capo del mondo” e che sia, semplicemente e totalmente impossibile, trovare analisi del genere nelle pagine economiche dei maggiori quotidiani del MinCulPop nostrano, tutti tesi a raccontare i “luminosi destini” delle economie occidentali e totalmente sordi e muti nei confronti degli eventi reali che stanno cambiando il mondo in cui viviamo.

Non esiste peggior sordo di chi non vuole sentire.

In questo articolo la conflittualità, per non dire incompatibilità, tra BRICS e Fondo Monetario Internazionale (FMI) non viene più taciuta, ma viene posta bene in evidenza e si sottolinea come per le economie in Occidente sprezzantemente definite “del Terzo Mondo” i BRICS con la loro politica monetaria ed economica suscitino una notevole attrattiva.

Non si ha il coraggio di dire apertamente che la politica economico-finanziaria dell’Occidente neo-liberista sta avvicinandosi ad una crisi epocale, come quella delle varie bancarotte dei sovrani assolutisti europei nel XVIII Secolo, ma implicitamente questo possibile evento viene adombrato e non viene minimamente escluso, anzi…

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William Pesek è un editorialista di Tokyo che pubblica opinioni e commenti su economia, affari, mercati e politica in tutta l’Asia.

I suoi articoli appaiono regolarmente in pubblicazioni in tutto il mondo ed è stato editorialista per Barron’s, scrivendo di economia globale, politica e mercati finanziari.

È stato il vincitore del premio 2010 della Society of American Business Editors and Writers (SABEW) per il suo lavoro per la Nikkei Asian Review, ora nota come Nikkei Asia.

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Montpellier (Francia), 24.X.2024

Marco Brusa

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https://asiatimes.com/2024/10/brics-summit-gives-imf-gang-run-for-its-money/

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IL FORUM DEI BRICS DÀ FILO DA TORCERE ALLA BANDA DEL FMI

Il disfacimento dell’ordine guidato dall’Occidente diventa in piena evidenza ora che i BRICS si riuniscono in Russia e danno all’analogo forum FMI in corso negli Stati Uniti una vera e propria sberla economica.

Questa settimana ci sarà un incontro del Fondo Monetario Internazionale impegnativo, teso e carico di sfide, a Washington.

Lì, i notabili dell’economia si troveranno di fronte a un numero sconcertante di questioni scottanti che vanno dal rallentamento della Cina alla recessione della Germania, dai rischi geopolitici a bizzeffe ad una elezione americana in bilico che dappertutto sta mettendo alla prova i nervi di chiunque.

A questo aggiungete gli avvertimenti del FMI sulla bomba a orologeria del debito pubblico ormai pari a cento triliardi (migliaia di miliardi) di dollari.

Sorprendentemente, Washington potrebbe ospitare il secondo incontro economico di maggior impatto di questa settimana, mentre l’evento più importante sarà a Mosca (Kazan – NdR), dove le Nazioni dei BRICS terranno il loro vertice annuale.

Solo pochi anni fa, molti esperti pensavano che il raggruppamento di Brasile, Russia, India e Sudafrica fosse destinato a diventare un baraccone.

Nel 2001, Jim O’Neill, allora economista di Goldman & Sachs, ha coniato l’acronimo BRIC e nel 2010 ai quattro membri originari si è aggiunto il Sudafrica.

Negli anni successivi, i BRICS sembravano avere perso la spinta propulsiva e, in un rapporto del 2019, Standard & Poor’s aveva addirittura affermato che il blocco aveva perso rilevanza.

Più o meno nello stesso periodo, lo stesso O’Neill ha scritto alcune relazioni sulla sua creazione: “La traiettoria economica divergente a lungo termine dei cinque paesi indebolisce la possibilità razionale di considerare i BRICS come un raggruppamento economico coerente. Io stesso ho occasionalmente scherzato sul fatto che forse avrei dovuto chiamare l’acronimo ‘IC’ sulla base della chiara delusione fornita delle economie brasiliana e russa nell’attuale decennio dal 2011, dove entrambe hanno chiaramente avuto sviluppi significativamente minori rispetto a quanto stabilito per le previsioni fino al 2050”.

Eppure da allora i BRICS hanno ritrovato un bel po’ del loro ritmo e si stanno espandendo, aggiungendo cinque nuovi membri.

Questa settimana, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si uniranno ai Paesi fondatori.

Mariel Ferragamo, analista del Council on Foreign Relations, osserva che “l’aggiunta di Egitto ed Etiopia amplificherà le voci provenienti dal continente africano e l’Egitto aveva anche stretti legami commerciali con la Cina e l’India e legami politici con la Russia”.

Come nuovo membro dei BRICS, l’Egitto “cerca di attrarre più investimenti e migliorare la sua economia malconcia”, osserva Ferragamo. “La Cina ha a lungo corteggiato l’Etiopia, la terza economia più grande dell’Africa sub-sahariana, con miliardi di dollari di investimenti per rendere il paese un hub della sua Belt and Road Initiative. L’ingresso dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti porta le due maggiori economie del mondo arabo e il secondo e l’ottavo produttore di petrolio a livello globale”.

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La tempistica di questa espansione coincide con una dei principali obiettivi strategici dei BRICS: la de-dollarizzazione.

A febbraio, i BRICS hanno svelato i piani per creare una “piattaforma multilaterale di regolamento e pagamento digitale” chiamata BRICS Bridge, che “aiuterebbe a colmare il divario tra i mercati finanziari dei paesi membri dei BRICS e ad aumentare il commercio reciproco”.

I rapporti suggeriscono che l’incontro di questa settimana lancerà una nuova strategia per accelerare gli sforzi per sostituire il dollaro USA.

Udith Sikand, analista di Gavekal Dragonomics, osserva che un’idea è quella di una valuta BRICS sostenuta dall’oro: “Sembra improbabile che una valuta possa superare questo vincolo vincolante per sostituire completamente il ruolo centrale del dollaro USA”.

“Tuttavia, è plausibile che in un mondo sempre più multipolare, un’ampia gamma di valute possa collettivamente intaccare il suo ruolo ormai fuori misura. L’implicazione logica di un tale cambiamento sarebbe che, sebbene il dollaro rimanga vitale per il commercio globale e i flussi di capitale, la sua tendenza ad essere un rifugio sicuro in tempi di crisi diminuirebbe man mano che agli investitori sarà offerta la possibilità di scegliere tra una serie di alternative”.

E per questo, l’Occidente deve rendersi conto di quanto stia rendendo le cose sempre più facili per i BRICS: la loro apertura alle Nazioni del Sud del mondo è, dopo tutto, conseguenza delle azioni della banda di Bretton Woods che ha rovinato le loro economie individuali e, per estensione, il sistema globale.

Consideriamo gli Stati Uniti: sono nel caos politico in un momento in cui il debito nazionale ha superato i trentacinque triliardi di dollari.

I rischi posti dalle prossime elezioni del 5 novembre hanno messo in allarme le società di rating del credito, in particolare Moody’s Investors Service, che è l’ultima ad assegnare a Washington un grado AAA (piuttosto casalinga questa valutazione, sempre propagandata con risalto dalle pagine economiche dei quotidiani del MinCulPop nostrano -NdR).

La Germania è in crisi ed evidenzia i venti contrari che gravano sul continente europeo.

Come afferma il Ministero dell’Economia tedesco: “la debolezza economica probabilmente continuerà nella seconda metà del 2024, prima che lo slancio di crescita aumenti gradualmente di nuovo l’anno prossimo”, aggiungendo che i rischi di “recessione tecnica” abbondano.

Il livello di preoccupazione può essere visto nella mossa della Banca Centrale Europea della scorsa settimana di tagliare i tassi per la terza volta quest’anno.

Michael Krautzberger, responsabile degli investimenti di Allianz Global Investors, afferma che “questa ripresa dei tagli dei tassi è giustificata in quanto l’andamento attuale, caratterizzato dalla crescita al di sotto delle previsioni dell’euro e dall’inflazione tornata più o meno sotto controllo, depone a favore di una politica monetaria molto meno restrittiva di quanto non fosse prima avvenuto”.

Krautzberger aggiunge che “ci sono alcune speranze che il recente sostegno politico cinese aiuterà i mercati sensibili al commercio come la Germania, ma dubitiamo che questo sarà sufficiente a compensare il debole quadro della domanda interna nella regione. Esiste anche il rischio che, dopo le prossime elezioni americane di novembre, i conflitti commerciali possano tornare nell’agenda politica, non solo tra Stati Uniti e Cina, ma anche con l’UE, presentando ulteriori rischi di crescita al ribasso”.

A peggiorare le cose, i livelli di debito pubblico a livello globale sono destinati a raggiungere i cento triliardi di dollari quest’anno, grazie in gran parte all’indebitamento degli Stati Uniti e della Cina.

«Le nostre previsioni indicano una combinazione spietata di bassa crescita e debito elevato: un futuro difficile», afferma la direttrice generale del FMI, Kristalina Georgieva, “I governi devono lavorare per ridurre il debito e ricostruire le riserve per il prossimo shock, che sicuramente arriverà, e forse prima di quanto ci aspettiamo”.

Tali livelli di debito impensabili sono una minaccia chiara e attuale per il sistema finanziario globale. Come scrivono gli analisti del FMI in un recente rapporto: “Gli elevati livelli di debito e l’incertezza che circonda la politica fiscale in Paesi di importanza sistemica, come la Cina e gli Stati Uniti, possono generare ricadute significative sotto forma di costi di finanziamento più elevati e rischi legati al debito in altre economie”.

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Queste ricadute potrebbero complicare le decisioni di politica monetaria in tutta l’Asia, in entrambe le direzioni.

A Tokyo, i funzionari della Banca del Giappone stanno esprimendo la loro determinazione a continuare ad aumentare i tassi, questo nonostante i dati mostrino una rinnovata debolezza delle vendite al dettaglio, delle esportazioni, della produzione industriale, degli ordini privati di macchinari e, soprattutto, la forte preoccupazione dei funzionari del Ministero delle Finanze che le forze deflazionistiche possano tornare a prendere il sopravvento nei prossimi mesi.

Anche se l’inflazione sta diminuendo in Giappone, “la banca centrale ha chiarito che aumenterà i tassi di interesse”, afferma Danny Kim, economista di Moody’s Analytics, “Nella migliore delle ipotesi, questo rallenterà la crescita. Nel peggiore dei casi, potrebbe innescare un declino economico più ampio”.

Tutto questo solleva dubbi sul fatto che le principali economie del mondo siano compiacenti riguardo ai rischi all’orizzonte.

Quando i funzionari arriveranno a Washington, sarà presente un notevole sollievo per il fatto che gli Stati Uniti non abbiano sperimentato la recessione che la stragrande maggioranza degli economisti aveva previsto. O che la recessione della Cina non abbia spinto la crescita continentale troppo al di sotto dell’obiettivo del 5% di quest’anno.

Ma c’è motivo di pensare che questa sia la calma prima della proverbiale tempesta.

La strada geopolitica è quanto di più pericoloso ci sia: a parte lo spaventoso traguardo del debito segnalato dal FMI, le tensioni in Medio Oriente stanno aumentando vertiginosamente mentre la guerra della Russia in Ucraina continua.

E poi c’è il ritorno del “Trump trade”.

I sondaggi suggeriscono una corsa molto serrata tra l’ex presidente degli Stati Uniti Trump e l’attuale vicepresidente Kamala Harris. Gli ambienti delle scommesse, tuttavia, suggeriscono che Trump potrebbe prevalere.

Se così fosse, l’Asia potrebbe trovarsi rapidamente in pericolo.

La minaccia di Trump di imporre dazi del 60% su tutti i beni cinesi è solo l’inizio, in molti prevedono che un’amministrazione Trump 2.0 imporrà tasse molto più alte e restrizioni commerciali, il tutto sicuramente danneggerà notevolmente l’Asia a partire dal 2025.

Anche se Trump perdesse contro Harris, difficilmente accetterebbe la sconfitta e reagirebbe pacificamente.

Molti temono già che i suoi sostenitori possano attaccare di nuovo la capitale degli Stati Uniti per protestare contro la sua sconfitta affermando che le elezioni sono state truccate. È probabile che questo metta nuovamente in pericolo il rating del credito di Washington e spaventi gli investitori, spingendo le azioni di Wall Street ai massimi storici.

Le ricadute dell’insurrezione del 6 gennaio 2021 ispirata da Trump sono state tra le ragioni per cui Fitch Ratings ha revocato il rating AAA sul debito statunitense, unendosi a Standard & Poor’s.

La domanda ora è se anche Moody’s declasserà gli Stati Uniti.

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Questa incertezza sta facendo il gioco dei BRICS.

Anche il sud-ovest asiatico sta facendo una svolta verso le nazioni BRICS.

Tutto questo è un punto di svolta globale che pochi in Occidente avevano previsto.

All’inizio di quest’anno, la Malesia ha dettagliato le sue ambizioni di aderire all’organizzazione intergovernativa. Anche la Thailandia e il Vietnam sono tra i membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico che esprimono un interesse simile. Anche in Indonesia, un numero crescente di legislatori è curioso dei BRICS.

La giravolta del Sud-Est asiatico potrebbe essere un colpo particolarmente incisivo per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Un segno distintivo dell’era Biden dal 2021 è stata la creazione di un baluardo regionale contro la crescente influenza della Cina e gli sforzi per sostituire il dollaro USA nel commercio e nella finanza.

Il fenomeno BRICS rappresenta una crepa sempre più ampia nelle relazioni tra gli Stati Uniti e molti membri dell’ASEAN.

Questo, in un momento in cui l’Arabia Saudita sta cercando di eliminare gradualmente il “petrodollaro”: Riyadh sta intensificando gli sforzi di de-dollarizzazione mentre Cina, Russia e Iran si sono unite contro le vecchie alleanze.

“Potrebbe essere in corso una graduale democratizzazione del panorama finanziario globale, lasciando il posto a un mondo in cui più valute locali possono essere utilizzate per le transazioni internazionali”, afferma l’analista Hung Tran del Centro di Geoeconomia dell’Atlantic Council.

“In un mondo del genere, il dollaro rimarrebbe prominente ma senza il suo peso smisurato, integrato da valute come il renminbi cinese, l’euro e lo yen giapponese in un modo che è commisurato all’impronta internazionale delle loro economie”, afferma Tran.

Tran osserva che “in questo contesto, il modo in cui l’Arabia Saudita si comporterà con i petrodollari rimane un importante presagio del futuro finanziario a venire, poiché la sua creazione risale a cinquant’anni prima”.

Questo potenziale futuro è in piena mostra a Mosca (Kazan) questa settimana.

I funzionari finanziari che si stanno per fare un giro a Washington ignorano questi eventi a 7.800 kilometri di distanza a loro rischio e pericolo.

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William Perek

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