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CONSTATAZIONI DA TEL AVIV
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Pubblichiamo un articolo apparso sul quotidiano israeliano Haaretz da cui risulta come l’ormai evidente tentativo di suicidio di Israele non trovi per nulla d’accordo buona parte dei suoi cittadini.
Ormai sono gli Israeliani stessi a definire “folle” e “di minoranza” il proprio governo e ad iniziare una sana pratica di renitenza alle chiamate alle armi.
La politica dei pazzi criminali è quella di essere obbligati a vincere tutte le battaglie perché, alla prima che perdono, o si ritrovano a combattere strada per strada a Tel Aviv contro i Palestinesi, o si ritrovano a combattere una guerra civile in piena regola tra Israeliani.
Gli Israeliani non sono scemi e questo lo sanno benissimo.
In ogni modo possiamo anche noi constatare come il tanto criticato in passato “restiamo umani” dell’indimenticato Vittorio Arrigoni (che la stessa Hamas aveva cercato di salvare dai rapitori, arrivando troppo tardi) a distanza di quindici anni si stia rivelando sempre più fondamentale: non sarà sufficiente, come dicevano i suoi critici, per affrontare i pericoli del mondo di oggi, ma è sicuramente molto più che necessario ed indispensabile.
Questo “restiamo umani” lo vediamo anche nei giornalisti che esprimono il “non poterne più” di almeno metà degli Israeliani e nei riservisti che diventano renitenti alla chiamata alle armi e non vogliono avere più nulla a che fare con i criminali di guerra.
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IL FOLLE GOVERNO DI MINORANZA ISRAELIANO STA CONDUCENDO UNA GUERRA INDEFINIBILE
di Uri Misgav – 7 maggio 2025
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https://www.haaretz.com/opinion/2025-05-07/ty-article-opinion/.premium/israels-crazed-minority-government-is-waging-a-duplicitous-war/00000196-ac1f-d9bf-a1b6-edbfe8650000?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native
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Come un autobus il cui autista si è addormentato al volante, Israele sta lentamente ma inesorabilmente scivolando verso il fondo dell’abisso.
Guidato da un governo crudele che ha consapevolmente deciso di uccidere gli ostaggi che in qualche modo sono riusciti a sopravvivere fino ad ora; sacrificare più soldati e comandanti che moriranno in pozzi con trappole esplosive, mine sotterranee, fuoco di cecchini e a causa di “incidenti”; uccidendo centinaia e migliaia di abitanti di Gaza in raid aerei selvaggi e tempeste di fuoco.
Tutto questo come parte di una “ripresa dei combattimenti intensi” e della “sconfitta di Hamas” – slogan edulcorati per non dire della rioccupazione di Gaza e della presenza permanente di Israele là.
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Solo un segmento della società israeliana è pienamente d’accordo con questa follia, ed è quello che attualmente impone la politica.
Il suo rappresentante nel gabinetto e nel ministero della Difesa, Bezalel Smotrich (ministro delle finanze e leader del National Religious Party–Religious Zionism che nega l’esistenza del popolo palestinese – NdR) un politico che è stato a malapena sopra la soglia per essere eletto, ha formulato l’obiettivo: “Entro pochi mesi, possiamo dichiarare la vittoria. Gaza sarà in rovina, i suoi abitanti concentrati a sud della linea Morag (fascia occupata da Israele che taglia in due la Striscia – NdR), da dove saranno obbligati a partire in gran numero verso paesi terzi”.
In un’altra dichiarazione, ha affermato che i territori nuovamente occupati non saranno sgomberati, nemmeno in cambio del rilascio di ostaggi.
Il famoso stratega Hanan Amiur ha chiarito “la tendenza in arrivo” sul quotidiano Makor Rishon, ampliando il teatro delle operazioni: “A Gaza come in Libano e in Siria: svuotamento dei terreni dai soggetti nemici, manovre aggressive, occupazione e possesso indefinito”.
Vale a dire: sterminio, espulsione, trasferimento e insediamento altrove.
Compresa la creazione di uno “spazio vitale”.
Questa è la direzione verso cui stiamo andando.
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L’esercito israeliano si rende già conto della verità.
Il morale basso ha prevalso questa settimana nell’edificio del Forum degli Ostaggi a Bnei Brak, sotto il comando del maggior generale (della riserva) Nitzan Alon.
Le brigate di riserva hanno faticato a raggiungere lentamente almeno il 75% degli obiettivi di chiamata alle armi già ridotti, a causa di una riduzione del personale dell’unità (un plotone che entrava a Gaza contava una trentina di soldati all’inizio della guerra, ora ne conta quindici).
Ai soldati della riserva che hanno informato in anticipo i loro comandanti che non si sarebbero presentati per l’attuale turno non è stato emesso alcun obbligo di arruolamento, al fine di nascondere la crisi di fiducia, motivazione e il tremendo esaurimento tra gli israeliani sani di mente.
I soldati di leva hanno meno spazio di manovra, motivo per cui, da quando è stato violato il cessate il fuoco, sono per la maggior parte quelli che sono stati inviati a Gaza.
Tra loro ci sono reclute della brigata Golani e paracadutisti ancora in addestramento di base, inviati a proteggere la linea Morag dopo aver trascorso solo quattro mesi in uniforme.
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La madre di una soldatessa mi ha scritto questa settimana: «Mia figlia sta prestando servizio come soldato da combattimento nel Corpo di Artiglieria. Ha appena iniziato. Sono stati informati che sarebbero stati mandati a Gaza. Mi ha chiamato e ha detto: “I nostri comandanti, dal capo di stato maggiore al comandante di compagnia, ci hanno informato che la nostra attività a Gaza metterà a rischio gli ostaggi, al punto da metterli in pericolo di vita e di incolumità fisica. Se dovessi scoprire che gli ostaggi possono essere stati uccisi o feriti dai miei colpi di artiglieria, non sarò in grado di vivere con questa consapevolezza”».
Nessuno dovrebbe convivere con questo.
Non un giovane soldato né un comandante anziano.
Né i nostri gloriosi (sic) piloti, che un giorno colpiscono obiettivi terroristici al porto di Sanaa, poi distruggono un ospedale il giorno dopo perché un funzionario finanziario di Hamas è stato ricoverato lì, o abbattono edifici sopra intere famiglie senza nemmeno sapere se alcuni ostaggi sono nei tunnel nelle vicinanze.
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Non tutti gli ordini dovrebbero essere accolti con un saluto di obbedienza.
Non tutte le operazioni sono degne di essere effettuate.
Non nell’esercito di un paese democratico, costruito su soldati di leva e riservisti.
Dove sono gli Amram Mitzna (generale in pensione dell’esercito israeliano – NdR) ed gli Eli Geva (comandante di brigata che, durante l’assedio di Beirut nella guerra del Libano del 1982, si rifiutò di attaccare la città per ragioni morali, affermando che “il pericolo è troppo sia per i soldati che per i civili nei combattimenti urbani” – NdR), che avevano detto “Quando è troppo è troppo” nella prima guerra del Libano?
Dov’è un David Ivry, che, come comandante dell’aviazione in quella guerra, rifiutò l’ordine di radere al suolo Tiro (venendo pure promosso al ruolo di ambasciatore a Washington – NdR) senza che gli fossero dati obiettivi precisi e validi?
A questo punto, questa è una guerra esplicitamente ambigua da parte di un folle governo di minoranza.
Non dobbiamo sacrificare gli ostaggi, i soldati e i nostri valori in nome della “responsabilità reciproca” (con Hamas – NdR).
Anzi.
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https://www.haaretz.com/israel-news/2025-05-08/ty-article/.premium/amid-wider-gaza-offensive-idf-avoids-calling-up-reservists-who-say-they-wont-report/00000196-af42-df59-abde-ef6add450000
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